Arrestare Min Aung Hlaing

Il Procuratore capo della Corte penale internazionale chiede un mandato di cattura anche per il leader golpista birmano

di Emanuele Giordana

L’Ufficio del Procuratore capo della Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi-Icc) ha presentato mercoledi al Tribunale la richiesta di emissione di un mandato di cattura per Min Aung Hlaing, capo delle forze armate birmane e presidente a interim, per crimini contro l’umanità, deportazione e persecuzione dei Rohingya. Crimini contro la minoranza islamica birmana commessi in Myanmar, e in parte in Bangladesh, tra il 25 agosto 2017 e il 31 dicembre 2017 dal Tatmadaw, le forze armate del Myanmar, sostenute dalla polizia nazionale e di frontiera e da civili non Rohingya. Ora il Cpi deve valutare se emettere i mandati di cattura che seguono quelli appena richiesti per Netanyahu e Gallant una settimana fa.

Contrariamente a Israele, la Birmania ha fatto finta di nulla e la notizia non si è vista nei media del regime militare, instaurato con un golpe nel 2021. Anche se, seguendo le orme dei vertici israeliani che hanno tacciato la decisione del Cpi di antisemitismo, Min Aung Hlaing potrebbe accusare il Procuratore capo Karim Khan di far parte di una lobby islamica, visto il cognome dell’avvocato britannico che presiede alle indagini scattate nel novembre del 2019 sui presunti crimini commessi durante le ondate di violenza del 2016 e del 2017 nello Stato di Rakhine (Myanmar) e il successivo esodo dei Rohingya al Bangladesh. In Birmania però fan spallucce. Gli unici Paesi dove Min Aung Hlaing viene accolto e dove è stato già ospitato infatti, sono la Russia e la Cina che non riconoscono la Corte internazionale. Nemmeno l’India, in buoni rapporti con il Myanmar, la riconosce e, nel Sudest asiatico, la Thailandia ha firmato il Trattato di Roma che la istituiva ma non lo ha ratificato, le Filippine si sono ritirate e la Cambogia, l’unico Paese del Sudest a riconoscerne pienamente lo statuto assieme a Timor Est, difficilmente arresterebbe il generale birmano visti i buoni rapporti che intercorrono tra la giunta e il regime autocratico-dinastico di Phnom Penh. A ben vedere, il generale corre dunque meno rischi di Netanyahu e Gallant perché difficilmente deciderà di andare in Bangladesh, che invece il Trattato lo ha firmato.

Nella sua richiesta Karim Khan spiega che “è la prima contro un funzionario governativo di alto livello del Myanmar” e che “la domanda attinge a un’ampia varietà di prove provenienti da numerose fonti: testimoni, prove documentali, materiali scientifici, fotografici e video autenticati” oltre alla collaborazione di Stati, organizzazioni internazionali e della società civile… la comunità Rohingya, il supporto del governo del Bangladesh e “l’eccellente cooperazione del Meccanismo investigativo indipendente delle Nazioni Unite per il Myanmar (Imm)”. “Ora – conclude il magistrato – spetta ai giudici della Corte stabilire se questa richiesta soddisfa gli standard necessari per l’emissione di un mandato di arresto. Nel caso in cui i giudici indipendenti della Cpi emettano il mandato, ci coordineremo strettamente con il cancelliere della Corte per impegnarci nell’arresto dell’individuo indicato”.

I Rohingya profughi in Bangladesh (oltre un milione) e la diaspora sparsa nel mondo (in Myanmar è rimasta ormai solo una minoranza) si sono felicitate per la scelta del Tribunale. Qualcuno però avrebbe voluto di più: Melanie O’Brien, dell’International Association of Genocide Scholars, considera la richiesta del Tpi “un passo importante verso la giustizia per i Rohingya… ma è deludente – dice all’agenzia Reuters – vedere un’altra richiesta di mandato d’arresto senza il crimine di genocidio. Il caso Rohingya è senza dubbio un genocidio. Hanno spinto i Rohingya oltre confine – ricorda – in condizioni di fame e malattia, senza assistenza sanitaria nemmeno per le donne incinte dopo uno stupro”. Per altro, sempre all’Aja, pende davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Onu un caso di genocidio presentato dal Gambia contro il Myanmar nel 2019 per cui fu interrogata anche Aung San Suu Kyi. Confronto che suscitò polemiche per l’atteggiamento della Nobel che giustificò di fatto quegli avvenimenti. Nel novembre 2023, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Regno unito e Maldive si sono associati alla denuncia del Gambia.

In copertina i Paesi nel Mondo e il Trattato di Roma. In verde chi vi aderisce

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