Bavaglio alle opposizioni con il blocco ai social media e ai siti di informazione. A farlo il governo etiope per sedare le proteste della popolazione oromo, iniziate nel novembre del 2015.
La denuncia è arrivata da Amensty International che ha pubblicato un rapporto mercoledì 14 dicembre.
Secondo lo studio i siti web di 16 agenzie di stampa e i servizi di messaggistica WhatsApp sono stati bloccati tra il giugno e l’ottobre scorsi.
Il governo di Addis Abeba ad ottobre ha dichiarato lo stato d’emergenza per sei mesi in conseguenza dell’ondata di proteste dei manifestanti oromo e amhara.
Intanto sono passati oltre due mesi dal 2 ottobre, giorno in cui si è verificata una strage compiuta durante la festa di Irreechaa, ai danni del popolo oromo.
Varie organizzazioni accusano il governo di nascondere il vero numero delle vittime e le circostanze della morte durante il raduno religioso.
L’associazione per i Popoli Minacciati ha richiesto in questi giorni una commissione indipendente per fare luce su quanto accaduto.
Sembrerebbe quindi poco realistica la stima dei 56 morti fatta dalle autorità. Secondo altre fonti, infatti, si parlerebbe di almeno 678 persone.
Intanto sono ancora centinaia le famiglie in attesa di avere notizie dei propri cari scomparsi .
Pare infatti che finora le autorità si sono rifiutate di rispondere alle domande dei familiari delle vittime. La strage di Bishoftu si può considerare uno spartiacque nella politica del paese africano, che ha avuto il riflesso di scatenare ulteriormente l’ira degli Oromo.