Berlino e il nucleare: storia di una svolta difficile

Obiettivi troppo alti e la santificazione frettolosa di una Cancelliera che deve fare scelte non ideologiche ma politiche rallentano la svolta green. Il tema resta caldo in un Paese con 7 centrali  ancora attive

Da oggi inzia la collaborazione tra atlanteguerre.it e Il fendinebbia, progetto giornalistico, co-fondato da Margherita Girardi e Pietro Malesani. Si avvale di un sito web www.ilfendinebbia.it con relativa newsletter e si occupa prevalentemente di Germania. Di seguito l’incipit di un articolo sul nucleare in terra tedesca

di Margherita Girardi e Pietro Malesani

Fuma, la centrale nucleare di Isar, bassa Baviera: giorno e notte sputa un’impressionante nuvola bianca che sale in fretta e si dissolve solo ben più in alto. Nulla di cui preoccuparsi, per carità, si tratta di innocuo vapore: ad essere precisi infatti la mastodontica costruzione in cemento è l’impianto di raffreddamento, da cui l’acqua fuoriesce in forma gassosa, dopo essere stata utilizzata per attivare delle turbine e per raffreddare il nucleo in uranio. Le emissioni inquinanti sono trascurabili, quasi nulle, tanto che persino Internazionale si è sbilanciato, dichiarando l’energia atomica ben più green di altre, fossili ma non solo. Il nucleare è innocuo, quindi, non c’è pericolo. Finché non succede qualcosa.

Qualcosa è successo, effettivamente, in Giappone nel marzo del 2011. È il problema del nucleare, c’è poco da fare: un impianto può funzionare alla perfezione per anni, non dare alcuna noia, ma sono sufficienti il minimo errore o il più piccolo malfunzionamento per innescare un disastro di proporzioni enormi. Troppo alto il rischio, secondo la Merkel e il suo governo, che in men che non si dica si sono rimboccati le maniche e hanno deciso di stravolgere la politica energetica tedesca: in parte una mossa consigliata dalla paura di dover assistere a eventi simili sul suolo tedesco, in parte un cambio di passo che da tempo l’opinione pubblica chiedeva.

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Di una vera e propria rivoluzione si può parlare, non solo per il Paese ma soprattutto per la CDU, partito di governo: proprio i cristiano-democratici avevano da poco riabilitato il tanto odiato nucleare, dopo che nei primi anni Duemila il governo Schröder ne aveva per primo pianificato una rinuncia. Troppo presto, secondo Merkel e compagni: le centrali dovevano prima giocare un ruolo essenziale nella tanto attesa Energiewende. Nel 2007 infatti la neo cancelliera aveva presentato un ambizioso piano di riconversione energetica, che doveva portare la Germania alla graduale rinuncia al carbone, per abbracciare invece un’energia verde e rinnovabile; di conseguenza sarebbe arrivato un abbattimento delle emissioni di Co2, che nell’allora distante 2020 sarebbero dovute essere soltanto il 40% di quelle registrate nel 1990. Un programma ambizioso, che per essere realizzato aveva bisogno del massimo sfruttamento delle 17 centrali nucleari del Paese, che potevano assicurare energia sicura ed emissioni irrisorie. Nemmeno il tempo di provare a metterlo in pratica che già Berlino era l’eroe dei movimenti verdi – il cui partito tedesco, va ricordato, era allora all’opposizione – e Angela Merkel era diventata la “cancelliera dell’ambiente”.

Non è andata come si sperava, colpa di obiettivi posti troppo in alto e di una santificazione frettolosa riservata a una cancelliera che, va ricordato, deve fare scelte non ideologiche ma politiche…. (Leggi tutto su Il fendinebbia)

In copertina il consumo energetico tedesco

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