Bitcoin tra Lugano e San Salvador

Patto bizzarro e originale fra una Giunta municipale centroamericana e una delle piazze finanziarie storicamente più importanti della Svizzera

di Gianni Beretta

Fino all’altro giorno la Città di Lugano e la più piccola nazione dell’America Latina (appena la metà della Svizzera) condividevano soltanto il San Salvatore, che nell’un caso è il monte che si staglia esuberante sul lago Ceresio, mentre nell’istmo centroamericano San Salvador è per l’appunto la capitale di El Salvador. Ebbene, il fato ha voluto che il 28 ottobre scorso il Sindaco della località ticinese, Michele Foletti, abbia curiosamente sottoscritto con l’ambasciatrice salvadoregna negli Stati Uniti, Milena Mayorga, e il suo omonimo presso l’Ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, Joaquin Alexander Mata, nientemeno che un memorandum di collaborazione economica per la promozione delle criptovalute Bitcoin, Tether e Lvga come alternativa ai metodi di pagamento in contante, con bonifici e carte di credito.

Al di là della già piuttosto originale intesa fra una Giunta municipale e il Governo di uno Stato, viene da chiedersi cosa possa avere a che spartire una delle piazze finanziarie storicamente più importanti della Svizzera (e non solo) con uno dei paesi più tormentati del subcontinente latinoamericano. È che El Salvador nel settembre dell’anno scorso ha fatto da apripista assoluto al mondo nel legalizzare la circolazione del bitcoin. E fin qui qualche interesse ci potrebbe stare.

Il Presidente Bukele

Il problema è che l’azzardato esperimento, lanciato dal Presidente millennial Nayib Bukele, si è rivelato un fallimento. Dei 105 milioni di dollari di risorse pubbliche investite da allora nell’acquisto (in vari momenti) di 2.381 bitcoin, almeno 65 si sono fin qui dissolti per la caduta della criptomoneta. E altri 120 sono stati impiegati per l’allestimento della (mal funzionante) piattaforma Wallet Chivo, cui hanno aderito da subito i due terzi dei 6,5 milioni di abitanti. Salvo poi, una volta spesi i 30 dollari promozionali, uscirsene in massa. Così che solamente il 10% dei pagamenti avviene oggi in El Salvador in virtual money. Mentre a fatica il 2% dei 7,5 miliardi di dollari di rimesse familiari annuali degli emigrati giungono in moneta digitale. Che erano poi l’obiettivo primordiale del giovane capo di stato visto che equivalgono a quasi un quarto del prodotto interno lordo.

Ma non è finita qui. Il progetto del twittero Bukele prevedeva pure la fondazione sul Pacifico di Bitcoin City, dove sarebbe stata approntata una “miniera” per l’estrazione di bitcoin con l’impiego di energia geotermica del vulcano Conchagua. Solo che l’emissione dei Bitcoin Bond che avrebbe dovuto sostenerla, annunciata per il marzo scorso, è stata inesorabilmente posposta sine die. Per di più con il Fondo monetario internazionale che già mesi fa ha subordinato all’abbandono del corso del bitcoin un prestito di 1,3 miliardi di dollari per il prossimo anno. Mentre le agenzie di rating hanno declassato a spazzatura il suo debito, ai limiti dell’insolvenza.

Come se non bastasse in El Salvador è in vigore lo stato di emergenza dopo che a fine marzo passato si è registrato il più cruento fine settimana nella storia del paese in tempo di pace con 87 omicidi ad opera delle maras, le bande giovanili che imperversano da almeno un paio di decenni controllando ampli territori mediante estorsioni e spaccio di stupefacenti. Da allora, spesso arbitrariamente, sono stati arrestati oltre 60mila giovani (finanche dodicenni) ammassati 24 ore su 24 nelle prigioni senza poter uscire neanche per l’ora d’aria. Unanime è giunta la condanna fra gli altri della Commissione Interamericana per i diritti umani.

Così che l’incipiente autarca Bukele, presidente dal 2019 (dopo aver liquidato il vetusto paralizzante bipartitismo), che controlla il Parlamento con i due terzi dei seggi e giunto infine a subordinare a sé con un golpe istituzionale anche il potere giudiziario, si è avventurato follemente a ipotecare soldi pubblici nei supervolatili oltre che assai poco trasparenti bitcoin, quale illusoria scorciatoia per tentare di risollevare le sorti di quelle stesse disperate giovani generazioni che (speranzose) lo avevano votato. Peccato gli sia andata male, ammesso (e non concesso) che un destino più generoso avrebbe potuto determinare un riequilibrio effettivo delle immense disuguaglianze sociali alla radice della miseria e della violenza. In un paese dove l’oligarchia le tasse non sa quasi neppure cosa siano. Paradosso vuole che Nayib, nonostante la debacle della criptomoneta, mantenga elevati consensi internamente proprio per la repressione adottata contro le giovani pandillas, di cui la popolazione più sventurata era stata in balia. Avendo cercato al contempo in questo modo di rassicurare oltre confine sulla stabilità del paese.

Sta di fatto che se per il governo di El Salvador l’aggancio al Plan B di Lugano potrebbe costituire una eventuale ciambella di salvataggio (con la ventilata apertura di una Camera di Commercio salvadoregna sulle rive del Ceresio) riesce invece difficile capire l’interesse di costei che punta ad essere la capitale europea delle criptovalute. Con le autorità ticinesi ad esaltare quella “interessante esperienza pionieristica” tropicale, rivelatasi in realtà sciagurata. E cui la città elvetica ha dato seguito de facto con il varo del Lvga dal marzo scorso.

Ma la ciliegina sulla torta doveva arrivare proprio in questi giorni con il bitcoin sprofondato ulteriormente sotto i 16.000 dollari per la scandalosa bancarotta della piattaforma di scambio di criptovalute FTX (con sede alle Bahamas e baricentro negli Stati Uniti) che si è letteralmente divorata un portafoglio di svariati miliardi di dollari, appartenente a un milione di sottoscrittori, che nessuno sa dove siano finiti. Il che ha gettato nel caos l’intero mondo delle monete virtuali tanto che qualcuno lo paragona al crack della Lehman Brothers.

Alla faccia delle “buone pratiche in materia di sicurezza economica e libertà finanziaria” cui si è riferita la diplomatica Mayorga durante il Plan B Forum, che sarebbero ancora oggi “i principali obiettivi del nostro presidente della repubblica!” Tanto che Bukele ha annunciato imperterrito che da ora in poi comprerà ogni giorno un bitcoin. All’indomani di questo esotico quanto strampalto gemellaggio, non resta che augurare ai luganesi che la montagna del San Salvatore non si converta da rasserenante scenario a incubo incombente della blockchain sulla città.

In copertina: il Monte San Salvatore (Svizzera)

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