di Maurizio Sacchi
Il 26 giugno, a La Paz, in Plaza Murillo, veicoli blindati hanno sfondato le porte del palazzo del governo boliviano, e il comandante generale dell’esercito Juan José Zúñiga ha dichiarato ai giornalisti riuniti nella piazza antistante il palazzo: “Sicuramente presto ci sarà un nuovo gabinetto di ministri; il nostro Paese, il nostro Stato non può andare avanti così” aggiungendo ( … ) che l’esercito stava cercando di “ripristinare la democrazia e liberare i nostri prigionieri politici”. Successivamente, un filmato trasmesso dalla televisione boliviana ha mostrato Arce affrontare Zuniga e un gruppo di soldati in un corridoio del palazzo mercoledì. “Sono il vostro comandante e vi ordino di ritirare i vostri soldati e non permetterò questa insubordinazione“. Ma la reazione sia interna alla Bolivia, che da parte della comunità internazionale, è stata immediata e unanime.
Il più grande sindacato del Paese ha annunciato uno sciopero a tempo indeterminato in difesa del governo di Arce. Poche ore dopo, Zúñiga ha invitato i soldati a ritirarsi, dopo che i leader di tutto il Mondo, il brasiliano Lula e il messicano Lopez Obrador in primis, hanno definito illegali le azioni dell’esercito. Mentre il generale veniva arrestato, il leader militare ha lanciato accuse davanti ai media, secondo le quali questo apparente colpo di stato sarebbe stato organizzato dallo stesso Arce per aumentare i suoi pessimi indici di gradimento.
Il Presidente Arce ha salutato il ritiro come una vittoria per la democrazia boliviana e, all’indomani, si è rivolto ai cittadini, molti dei quali erano scesi in piazza per protestare contro il tentativo di colpo di Stato. L’azione di La Paz è rimasta del tutto isolata, visto che nessuna delle guarnigioni nel resto della Bolivia si è unita al sollevamento. Ma le difficoltà del governo sono reali. Il presidente ha un basso indice di gradimento. Nell’ultimo sondaggio,a marzo, la sua popolarità era al 38%. L’economia non sta andando affatto bene. Dopo la pandemia, la Bolivia ha registrato un’importante ripresa economica e una riduzione della povertà grazie all’allentamento delle misure di isolamento e al miglioramento del contesto esterno, compreso l’aumento dei prezzi internazionali dei principali prodotti di esportazione. Tuttavia, l’elevato debito pubblico, il calo della produzione di gas naturale e le modeste riserve internazionali hanno limitato gli sforzi del governo per stimolare la crescita e hanno esercitato pressioni sul mercato dei cambi, dove è emerso un tasso di cambio parallelo. La Bolivia è anche vulnerabile ai disastri legati al clima, come la siccità che attualmente colpisce diverse regioni del Paese legata all’evento di El Niño, che dura da mesi.
Ma c’è sullo sfondo un Paese spaccato in due da anni. Nel 2019, una sorta di golpe bianco aveva posto alla guida della Bolivia la Presidente del Senato, la conservatrice Jeanine Anez, in risposta alla pretesa di Evo Morales di cambiare la Costituzione per poter essere rieletto. Ne erano seguiti scontri violenti fra le due parti politiche, le forze di destra in province come Santa Cruz hanno messo in scena attacchi mortali contro i sostenitori del Movimento al socialismo di Morales e del suo delfino Arce, che poi vinse le elezioni. L’anno scorso, un importante leader dell’opposizione, Luis Fernando Camacho, è stato arrestato per il suo presunto ruolo negli eventi del 2019.
Ma anche il leader della destra, l’ex Presidente Jeanine Anez, ha respinto le avances dei militari. “Ripudio totale della mobilitazione militare, che tenta di distruggere l’ordine costituzionale”, aggiungendo che Arce “deve andarsene attraverso il voto del 2025”. Elezioni nelle quali l’attuale presidente dovrà guardarsi anche a sinistra, dal tentativo di un ennesimo ritorno di Evo Morales, che ha già annunciato un’altra sfida alla costituzione, riproponendosi alle urne per la guida del Paese andino.
nell’immagine un carro armato dell’Ejercito de Bolivia