Bugie e conflitti. Una storia antica. Il Punto

Il bilancio della settimana del direttore dell'Atlante

di Raffaele Crocco

E’ una storia antica, questa. E’ la storia delle bugie raccontate ad un popolo per giustificare la guerra. Una storia comune a molti Paesi. La guerra ha bisogno, sempre, del consenso. Bisogna convincere cittadini, sudditi, popolo che la guerra è giusta, santa, inevitabile. Bisogna convincere tutti che “noi siamo i buoni” e allora, via alla propaganda, soprattutto in questi tempi di Risiko planetario e di conseguente corsa al riarmo. Ma dopo l’attacco degli Stati Uniti all’Iran, non si può ricordare come ci sia, al Mondo, un Paese più bugiardo degli altri nel raccontare ai propri cittadini le ragioni delle nuove, inevitabili, guerre: proprio loro, gli Usa.

In questi giorni, l’attacco israeliano prima e quello voluto poi da Trump con i super bombardieri B2, è stato giustificato con la certezza che “Teheran avesse potenzialmente un arsenale nucleare” e fosse, quindi, pronto “a colpire Israele e tutto il Mondo libero”. Questa tesi dell’Iran “potenza nucleare” era stata originariamente avanzata e più volte ripetuta dalla presidente Trump, che aveva minacciato – prima che lo facesse Israele – di intervenire militarmente. Su questa base, Washington ha prima sostenuto la scelta del governo Netanyahu, poi è entrato in guerra.

Tant’è: è questa una trama, questa, che la Storia statunitense ha già visto e conosce bene. E’ la tecnica di mentire sulla realtà e sulle azioni del nemico del momento, per giustificare il proprio intervento militare vestendo i panni “dei buoni”. Oggi, sappiamo con certezza che l’Iran ha senza dubbio un programma nucleare avanzato, con buoni livelli di arricchimento dell’uranio utile alla bomba. Ma la bomba in quanto tale è ancora lontanissima. Eppure, la bugia ha retto e parte dell’opinione pubblica statunitense e mondiale – certamente quella europea – è ancora convinta dell’inevitabilità di questa guerra e delle ragioni statunitensi e israeliane nel lanciare un attacco in nome della “difesa preventiva”.  E’ l’ennesima bugia “utile” alla politica militare statunitense. Diventa importante, allora, fare un ripasso delle bugie made Usa nelle guerre che Washington ha voluto combattere negli ultimi 200 anni. Guerre motivate sempre e solo da una ragione: conquistare, o tentare di conquistare, terre altrui.

Partiamo con una specie di macchina del tempo e atterriamo nel 1846. A Washington è presidente il democratico Polk. Gli Stati Uniti sono in piena espansione e alle prese con la questione dello schiavismo. Come tutti i democratici dell’epoca, Polk è schiavista e vuole estendere il territorio degli Stati Uniti inglobando l’Oregon, che è britannico e il Texas, che dal 1836 è uno Stato indipendente dopo aver lottato contro il Messico. Nel 1845, il Texas entra nella federazione statunitense, ma Washington ha ormai gli occhi puntati sugli altri territori settentrionali del Messico. Polk ha contro buona parte del senato, contrario alla guerra, ma inventa ad arte un paio di incidenti diplomatici: uno scontro di frontiera fra soldati messicani e statunitensi e uno sgarbo ad un suo inviato, Slidell, non ricevuto dal governo messicano. La guerra inizia, per vendicare “il sangue americano, versato su suolo americano” e nel 1848 si conclude con la conquista di California, Nevada, Utah, New Mexico, Colorado e Wyoming.

Finito lo scontro con il Messico, cominciano i lunghi decenni di bugie raccontate all’opinione pubblica per giustificare il massacro dei nativi americani e la conquista delle loro terre. Sono bugie sostenute dai giornali, che raccontano di territori ricchi d’oro o di razzie subite che vanno vendicate o di terre meravigliose da coltivare che devono essere strappate ai selvaggi che non le utilizzano e che impediscono l’arrivo del progresso, che in questo caso ha l’aspetto della ferrovia. Tutti racconti quotidianamente proposti alla popolazione e che formano il consenso alle cosiddette “guerre indiane”, che porteranno a decimare la popolazione originaria.

Arriviamo quindi al 1898. Anche qui i giornali hanno un ruolo fondamentale. Il presidente è McKinley. L’espansionismo statunitense ha nel mirino soprattutto Cuba, ma non solo. L’isola è parte di ciò che resta dell’impero spagnolo. I cubani lottano da decenni per diventare indipendenti. Una situazione che a McKinley pare favorevole. A lui dell’indipendenza di Cuba non interessa nulla, anzi,. A lui l’isola interessa per controllarla. Ovvio, formalmente dice di voler liberare i cubani dal controllo spagnolo, ma la verità è che vuole la Spagna fuori da Cuba e sostituire Madrid con la United Fruit e ad altre grandi imprese. Dice anche di voler far guerra alla Spagna per “civilizzare” le Filippine, mentre la vera ragione è possedere un prezioso pezzo di terra nel lontano Pacifico. Anche qui: serve una ragione per la guerra. Viene creato ad arte ed è un capolavoro. E’ l’affondamento della Uss Maine – una nave da battaglia – nel porto dell’Avana, il 15 febbraio 1898, per una misteriosa esplosione. Muoiono quasi 300 marinai e viene subito indicata come colpevole la Spagna, che avrebbe sabotato la nave. Nave che nel porto dell’Avana era entrata solo dopo un lungo braccio di ferro diplomatico fra Washington e Madrid. In realtà, sono in molti – e le prove non mancano – a sostenere che il sabotaggio fu opera degli stessi statunitensi. L’opinione pubblica statunitense viene comunque convinta della colpevolezza spagnola. I quotidiani World of New York, del magnate Joseph Pulitzer e del New York Journal, di W.Hearst, cavalcano l’onda della guerra, che viene dichiarata e combattuta. Si conclude con la sconfitta spagnola e la conquista – reale o di fatto – di Cuba e delle Filippine. Nel mazzo finiscono anche le Hawai, che sono sulla rotta per Manila e fino a quel momento erano un felice regno indipendente.

Proseguiamo lungo la rotta delle bugie, andando più velocemente. Il Presidente Woodrow Wilson, definito spesso un “idealista”, ha portato gli Stati Uniti dentro la Prima Guerra Mondiale smentendo se stesso. Era stato eletto garantendo che avrebbe evitato la guerra. Nel 1917 ci è entrato dicendo che serviva esserci per “difendere le democrazie mondiali”. Nel 1945, Harry Truman ha giustificato l’uso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki spiegando che avrebbero risparmiato “migliaia di vite in una ancora lunga guerra” e dicendo agli americani che le due città erano “obiettivi militari”.

In anni recenti, tutti i presidenti coinvolti hanno mentito sulle ragioni della guerra per il Vietnam. Kennedy non ha mai detto la verità sul coinvolgimento degli Stati Uniti, negando fossero presenti militari a stelle e strisce. Poi, Johnson ha mentito sul bombardamento del Golfo del Tonchino, che ha portato a rafforzare la presenza militare laggiù. Nixon ha detto bugie sui bombardamenti “segreti” in Cambogia, dichiarando che erano “per tenere il Vietnam del Sud libero dal comunismo”. In guerre più recenti, Ronald Reagan , negli anni ’80 del secolo scorso, ha mentito sull’invasione di Grenada, un’isola di 120mila abitanti: ha dichiarato che era una minaccia per gli Stati Uniti.

Il primo Presidente Bush, negli anni ‘90, ha mentito spesso e fatto altrettante guerre: ha invaso Panama, spiegando che stava finendo nelle mani dei nemici degli Stati Uniti. In realtà Washington voleva solo ribadire il proprio controllo sul Canale. Poi, ha raccontato balle mondiali sulle ragioni dell’attacco all’Iraq, nel 1991. E’ stata la prima Guerra del Golfo e più che una bugia, in quel caso si tratta di una truffa. L’Iraq, infatti, aveva effettivamente invaso il Kuwait dei pozzi petroliferi, convinto di poterlo fare. Una specie di risarcimento per la guerra di dieci anni – e milioni di morti – che aveva combattuto contro l’Iran per conto di Stati Uniti ed Europa. Invece, Bush quei pozzi li voleva liberi, ma controllati dalla società nord americane. Della libertà del Kuwait non gli interessava nulla, ma sventolare a livello planetario la bandiera dei “diritti dei popoli e delle nazioni”, gli consenti di fare la guerra fra gli applausi del Mondo.

Veniamo a tempi più recenti: la guerra in Afghanistan, nel 2001. L’origine è tragica e reale ed è nell’attentato alle Torri gemelle, a New York, l’11 settembre 2001. Un fatto terribile, che ha causato 2.977 morti in pochi minuti. Il secondo Bush, figlio del primo, sulla base di quell’attentato inventò le ragioni per l’invasione dell’Afghanistan dei talebani, accusato di ospitare chi aveva architettato la strage, cioè Osama bin Laden. In nome dell’aggressione subita, Washington riuscì ad appellarsi all’articolo 5 dello stato della Nato, che prevede la difesa comune in caso di attacco ad uno dei Paesi membri. Così, ad invadere l’Afghanistan e ad occupare inutilmente per 21 anni furono i paesi della Nato, non solo gli Usa.

Ma il capolavoro vero è del 2003, con la seconda guerra all’Iraq. Bisogna trovare una scusa per attaccare e definitivamente conquistare Bagdad. Da 12 anni, dalla prima guerra del Golfo, l’Iraq è ridotto alla sopravvivenza, oppresso dalle sanzioni territoriali e limitato nella propria sovranità. A Washington non basta più, vuole il controllo della regione. E allora si va di bugie. Si inventa – invenzione vera, di sana pianta – che l’Iraq ha armi chimiche di distruzione di massa e rappresenta un pericolo per l’umanità. Il segretario di Stato statunitense, Colin Powell, nel febbraio 2003 parla al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Siamo nel mese prima dell’invasione. Come raccontava lo storico Howard Zinn qualche anno fa, è un discorso che può essere ricordato come “il primato di falsità dette in un sol colpo. In esso, Powell, in confidenza, ha sparato la sua “prova”: fotografie satellitari, registrazioni audio, relazioni di informatori, con statistiche precise di come esistessero litri e litri di questo e quello apposta per una guerra chimica. Il New York Times rimase senza parole per l’ammirazione. L’editoriale del Washington Post fu intitolato “Irrefutabile” e dichiarò che dopo il discorso di Powell è difficile immaginare come si possa dubitare che l’Iraq possieda armi di distruzione di massa.” Anni dopo è emerso con assoluta certezza come quelle armi chimiche non esistessero, fossero una pura invenzione di propaganda. Allora, però, la guerra contro l’Iraq sarebbe iniziata e, anche in questo caso, con il consenso di tutti gli alleati. Una guerra che non è ancora finita.

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