di Sara Cecchetti
Nella mia tasca sinistra. Una narrazione di vita e di vite: questo il titolo del libro- pubblicato per La Valle del Tempo- di Grazia Le Mura, attivista e sociologa che da trent’anni opera in Burkina Faso. “Questo romanzo non è la storia di qualcuno, è la storia di tutte le donne in Burkina. Il sottotitolo lo spiega chiaramente: narrazione non solo di vita, ma di vite perché nella storia di Djiuma, la protagonista, sono contenute quelle di altre donne decise a riscattarsi.” Così Le Mura ci racconta della voglia di libertà e autodeterminazione di milioni di ragazze ancora ingabbiate in una tradizione
che le vuole succubi: dalla mutilazione genitale femminile ai matrimoni forzati.
L’autrice, tra i fondatori di Tante mani per uno sviluppo solidale e collaboratrice di associazioni come Bhalobasa, da Bobo-Dioulasso riesce a fornire una testimonianza diretta degli stravolgimenti politici e sociali che in Burkina si sono susseguito dall’assassinio efferato di Thomas Sankara nel 1987. “Ho vissuto la rivolta pacifica del 2014, quando la società civile è scesa in piazza per resistere ad una proposta di emendamento costituzionale che avrebbe permesso la rielezione di Blaise Compaoré. Da 27 anni presidente, aveva già costruito una fitta rete di collaboratori, appositamente selezionati per ricoprire cariche di potere che gli consentissero totale controllo; anche per questo dopo la sua caduta il Paese si è ritrovato in uno stato di estrema precarietà.” È stato questo il periodo- continua Le Mura- in cui il terrorismo è esploso maggiormente: il Trans-Sahara Counterterrorism Partnership (TSCTP), istituito nel 2005 dal governo statunitense, non aveva avuto gli effetti desiderati e il sentimento anticoloniale contro i francesi è andato ad accrescere maggiormente a causa della loro incapacità di eliminare le forze terroristiche, basti pensare al fallimento della operazione Barkhane (iniziata nel 2014).
“Con Ibrahim Traoré stiamo assistendo ad una svolta interessante: nell’immaginario collettivo Traoré richiama molto Sankara, sia per la giovane età sia per il carattere deciso, quasi come se si trattasse del ritorno del rivoluzionario per eccellenza. Il paragone risulta comunque un po’ azzardato visto il mutamento drastico del contesto: con Sankara il colonialismo era ancora alle porte, Traoré ha preso il potere in un paese martoriato da fame e terrorismo”. La speranza nella popolazione è quella di una vera e propria svolta nella storia del Burkina; Traoré, impegnato in alleanze strategiche in primis con Mosca, è diventato emblema non solo di emancipazione dal giogo occidentale ma anche di nuove forme di panafricanismo: uscito da Ecowas, assieme a Mali e Niger ha dato vita a AES (Alleanza degli Stati del Sahel). A queste scelte si aggiunge la volontà del nuovo presidente di costruire un’identità nazionale forte, scevra da condizionamenti stranieri, ne è un esempio l’introduzione di un mese di “immersione patriottica” per coloro che hanno terminato il Baccalaureato, così che vengano riconosciuti e celebrati i valori del Paese. Più stringente anche il controllo sul lavoro: dalle assunzioni, per andare a scardinare tradizionali nepotismi, alla maggiore efficienza dei funzionari. Una nuova riforma è stata introdotta anche sul codice stradale, obbligando a lavori forzati chi compie infrazioni.
Rimane e, non va dimenticato, il bagaglio alle spalle di Traoré: un militare che, se sembra voler far prosperare il Burkina Faso, non è sicuro possa, o addirittura, voglia dar vita ad un potere meno dittatoriale; saranno le sue scelte future a fornire risposta, quello che per adesso può essere costatato è il desiderio di un Presidente di riprendere il controllo di un Paese per troppo tempo lasciato a se stesso.






