Burkina Faso: una crisi senza precedenti

A causa della violenza di gruppi armati provenienti dal Mali, nel Paese si trovano oggi 1milione e 50mila sfollati, mentre ad aprile 2020 erano 600-700mila. L'intervista a un operatore Intersos

di Alice Pistolesi

Il Burkina Faso sta attraversando una crisi senza precedenti. La violenza proveniente dal Mali, gli scontri tra agricoltori e pastori alimentati da ragioni etniche e dal cambiamento climatico, hanno trasformato uno dei Paesi più stabili dell’area in una miccia esplosiva. Nel Paese si trovano oggi 1milione e 50mila sfollati, mentre ad aprile 2020 erano 600-700mila.

La ong Intersos è presente sul campo dal novembre 2019 e ha attivato una serie di progetti a sostegno della popolazione. Per capire quello che sta accadendo abbiamo rivolto alcune domande a Marcelo Garcia Dalla Costa, responsabile dell’unità di urgenza di Intersos.

Come è la situazione nel Paese?

Il Burkina sta vivendo un periodo davvero drammatico. Sei Regioni del Paese si trovano in stato di crisi. Quello che succede in Burkina si inserisce nella crisi del Sahel Centrale, partita dal Mali e che si è poi estesa a Burkina e Niger.

Quali sono i principali pericoli?

Il primo fattore di pericolo è la presenza di gruppi armati arrivati dal Mali che sono responsabili di attacchi ai civili e che sfruttano il vuoto di potere e la scarsa presenza dello Stato, soprattutto nelle zone transfrontaliere. Il governo non ha più il controllo sulle zone più remote del Paese, soprattutto a Nord e Nord-Est.

I gruppi armati sfruttano i conflitti che ci sono sempre stati sia in Mali che in Burkina tra diversi gruppi etnici e tra pastori e agricoltori. Scontri che sono sempre più frequenti anche a causa del cambiamento climatico che ha reso aride molte terre. I gruppi di estremisti hanno esacerbato conflitti già esistenti, ma gestibili, e fatto cadere tutta l’area nel caos.

Questi gruppi uccidono i civili, bruciano i villaggi, stuprano le donne e reclutano i giovani. Questa violenza ha fatto sì che il Burkina sia oggi il Paese con il più alto numero di sfollati nel mondo in un periodo di tempo tanto breve: l’incremento da aprile a novembre è stato del 200%. Gli sfollati arrivano dalle zone di confine e si riversano all’interno del Paese, dove per il momento la situazione è tranquilla. Solo poche persone hanno scelto di varcare i confini perché la situazione in Mali e Niger è la stessa, se non peggiore.

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Cosa sta facendo Intersos?

Come è facile immaginare le difficoltà umanitarie sono tantissime anche perché molte aree del Paese sono molto difficili da raggiungere. Noi siamo presenti in tre delle regioni in grave crisi. Abbiamo scelto essere molto veloci e attivato un programma multisettoriale per cercare di rispondere a più bisogni possibili. Siamo presenti con interventi finanziati da Unhcr per monitorare le violazioni dei diritti umani. Abbiamo alcuni team mobili che si spostano nel territorio per acquisire informazioni su violazioni, sequestri, violenze sessuali. Monitoriamo e quantifichiamo anche quali sono i bisogni e la mancanza di servizi di base collegati alla salute, all’accesso al cibo e all’acqua. A seconda delle informazioni riportate interveniamo dove c’è più bisogno. Realizziamo, ad esempio, interventi di miglioramento sui servizi igienici e abbiamo attivato campagne di sensibilizzazione.

Ci sono poi interventi mirati al miglioramento dell’accesso all’educazione, visto che a causa della violenza oltre il 50% bambini non può andare a scuola. Abbiamo per questo attivato due progetti finanziati dall’Unione Europea per la costruzione spazi temporanei per garantire un’istruzione anche ai bambini e alle bambine sfollati. I progetti prevedono anche attività di protezione dell’infanzia per evitare il reclutamento dei giovani e il lavoro minorile.

Sono attive poi distribuzioni di viveri tramite il World Food Program nella zona Est del Paese con particolare attenzione ai bimbi denutriti e alle donne incinte. Il problema della malnutrizione è sempre più acuto perché a causa della violenza le persone non possono più accedere ai campi e coltivare. A questo si sommano poi grandi periodi di siccità che si alternano a inondazioni devastanti. Per tutte queste ragioni il tasso di malnutrizione è alle stelle.

Com’è il vostro rapporto il governo del Paese?

La collaborazione è molto buona. Da subito il governo ci ha fornito il supporto necessario, anche a livello burocratico tramite i vari ministeri, per poter lavorare in serenità. Al momento stanno lavorando ai nostri progetti 150 persone di staff nazionale e 9 espatriati.

Qual è invece la situazione sanitaria legata alla pandemia da Covid19?

Diciamo che il covid19 al momento non è il problema principale. Ci sono circa 2500 casi accertati, ma è un numero che non rispecchia la realtà visto che il sistema sanitario non è in grado di effettuare un tracciamento serio. I casi noti sono stati registrati sono nelle città di Bobo-Dioulasso‎ e Ouagadougou‎ ma nelle zone rurali non c’è nessun tipo di controllo.

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