Burundi, sangue contro oro e uranio

di Andrea Tomasi

Pierre Nkurunziza, presidente della Repubblica del Burundi, continua ad esser accolto dalle diplomazie internazionali con tutti gli onori del caso. Strette di mano, pacche sulle spalle, sorrisi in favore di fotografi e cameramen. Eppure Nkurunziza (nella foto con il Segretario Generale dell’Onu Ban-Ki-moon) guida un Paese dove le violazioni dei dirriti umani, gli stupri, le torture e glki omici di massa sono la regola. Niente. Silenzio. Nulla accade, forse perché – come ipotizza non senza malizia Valter Vecellio su La Voce di New York – in questo sfortunato Paese non mancano l’oro, i diamanti, l’uranio.
Il Burundi – racconta – è una «macchia» sulla carta geografica dell’Africa, meno di 28mila chilometri quadrati incastonato tra Ruanda, Congo, Tanzania. Gli abitanti sono circa dieci milioni. «Fame e miseria la fanno da padrone; la capitale, un nome impronunciabile, Bujumbura, è un enorme ghetto». E in questo quadro desolante, da mesi, si assiste a migliaia di torture di oppositori o presunti tali. Vecellio spiega che in Burundi la violenza esplose quando Nkurunziza, a capo di una sanguinaria milizia ma anche «devoto cristiano rinato», annunciò di volersi candidare per un terzo mandato (terzo mandato vietato dalla Costituzione). Ci furono forti proteste di piazza, a cui il regime reagì con una brutale repressione, che si trasformò «in uno stato permanente di violenza e brutalità». Quest’anno circa mille persone al giorno fuggono: raggiungono gli altri 250mila profughi in Tanzania, Ruanda, Uganda e Congo.
Pierre Nkurunziza, per quanto abile, non può agire da solo. Chi sono i suoi alleati? Sono «i terroristi ruandesi del FDLR e l’immancabile Francia – scrive La Voce di New York – . L’opposizione è frammentata su basi etniche. Nel frattempo il genocidio continua. In accordo con la principale forza politica militare del Paese, i terroristi ruandesi FDLR, Nkurunziza ordina veri e propri stermini su basi etniche e, in particolare, contro la minoranza tutsi. Giornalisti burundesi (in clandestinità) e fonti diplomatiche occidentali informano del sistematico sterminio di tutsi, una media di un migliaio di vittime ogni mese».
Nigirizia spiega che nel governo e nell’esercito agli hutu spetta il 70% dei posti chiave, ai tutsi il 30%. Gli hutu sono l’85% della popolazione, i tutsi il 14%. «A differenza del vicino Rwanda – paese gemello per lingua, cultura e composizione etnica, e questo potrebbe trarre in inganno anche l’“esperto” – in Burundi l’intreccio hutu-tutsi è più complesso, ed effettivo per certi aspetti, anche per via di frequenti matrimoni interetnici».
Ma le violenze non sarebbero solo di matrice etnica. Lo scontro, secondo Nigirizia, è più che mai politico. Il fallito colpo di Stato del 13 maggio dello scorso anno – si legge – è stato «organizzato da un militare hutu (l’etnia del presidente). E poi sia in parlamento sia nelle file del CNARED, il movimento che riunisce la maggior parte degli oppositori politici contro la deriva autocratica di Nkurunziza, la composizione etnica è meticciata». Insomma la resistenza al regime è fatta sia di tutsi che di hutu. «E i più critici sono i giovani, urbanizzati e non, che non trovano lavoro anche se hanno in mano un titolo di studio. Lo scontento monta pure tra le masse di contadini sempre più impoveriti, esclusi dai benefici della modesta crescita del prodotto interno lordo». Gli uomini armati, che rispondono agli ordini del presidente, mettono in atto una serie di atti repressivi ed uccisioni. Parliamo delle forze di polizia e delle milizie imbonerakure. David Miliband, presidente dell’International Rescue Committee, al Guardian dice: «Dobbiamo prepararci al peggio, una crisi della durata di diversi anni con persone che continueranno ad arrivare». Pierre Nkurunziza prospera politicamente in un Paese che non prospera. L’attuale presidente è «figlio d’arte». Il padre – Eustache Ngabisha – fu eletto in parlamento nel 1965 e – ricorda Wikipedia – divenne successivamente governatore di due province prima di essere ucciso nel 1972, durante un periodo di violenze etniche che uccisero più di 100.000 burundesi. Allo scoppio della guerra civile Nkurunziza era professore all’Università del Burundi. Un conflitto iniziato a causa dell’assassinio del primo presidente del Burundi di etnia Hutu, Melchior Ndadaye, nel 1993. Famiglia decimata, quella di origine dell’attuale leader: «Nacque in una famiglia di sette figli. Due dei suoi fratelli furono uccisi durante la guerra civile nel 1993 ed altri tre morirono combattendo nel CNDD-FDD. Solo una sorella è ancora viva». Un flusso di violenza che sembra inarrestabile. Nonostante le critiche sulle violazioni dei diritti umani e la contestazione dell’interpretazione «estensiva» della Costituzione, la maggioranza delle rappresentanze diplomatiche estere continuano a riconoscere Nkurunziza come presidente della Repubblica. Nota Vecellio: «Anche la Cina, dopo una presa di distanze nel novembre 2015 per timore di compromettersi con un genocidio, sta riprendendo i rapporti con il regime. Paese poverissimo, il Burundi, e tuttavia regione che si presta a essere crocevia ricchissimo di materie prime: diamanti, oro, argento, uranio. Paese “dimenticato”, e tuttavia terreno di incontro e scontro di tanti, inconfessabili, interessi, americani, francesi, cinesi».

L’atroce guerra civile in Burundi che il mondo ignora

http://www.nigrizia.it/notizia/burundi-scontro-non-solo-etnico/notizie

https://it.wikipedia.org/wiki/Pierre_Nkurunziza#cite_note-1

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