Cambogia: il ritorno impossibile della democrazia

L'oppositore in esilio Sam Rainsy bloccato all'aeroporto di Parigi: non potrà marciare come voleva su Phnom Penh per contestare la dittatura del partito unico. Il governo khmer lancia l'allarme colpo di stato

di Emanuele Giordana

E’ un ritorno impossibile quello della democrazia in Cambogia e per ora non si parte anche se il biglietto Thai International che Sam catoRainsy, il principale oppositore in esilio del dittatore cambogiano Hun Sen, aveva mostrato alla stampa parla chiaro: imbarco a Parigi il 7 novembre e arrivo al Bangkok venerdi 8 alle ore 6 (la mezzanotte di giovedi in Italia). Il presidente in esilio del Partito di salvezza nazionale cambogiano (Cnrp, messo al bando) non vuole però cambiare i suoi piani di una “marcia” di ritorno in Cambogia di dissidenti e migranti e dunque comprerà “un altro biglietto da un’altra compagnia”.

Si va avanti anche se – oggi, domani o dopodomani e se tutto va per il meglio – per Sam Rainsy sarà difficile far ritorno dall’esilio: rischia non solo di non imbarcarsi ma di essere rispedito a Parigi dalle autorità di frontiera tailandesi che così sono state istruite dal premier Prayut O-cha, lui pure un “uomo forte” ma non paragonabile a Hun Sen che tra l’altro non è proprio nelle grazie del generale che guida la Thailandia, Paese con cui Phnom Penh si è spesso scontrata anche con le armi. Vietnam e Laos farebbero lo stesso.

Sam Rainsy

Il fatto è che grazie alle regole che guidano l’azione dei dieci paesi dell’Asean, l’associazione regionale del Sudest asiatico, se viene emesso un mandato di cattura da uno dei Paesi, gli altri devono ovviamente eseguire. Lo ha appena fatto la Malaysia con la dissidente e vice di Sam Rainsy Mu Sochua, anche se Kuala Lumpur non vuole estradarla ma esiliarla in un altro Paese. E anche Prayut vuole evitare l’arresto e tanto meno la consegna ai loro aguzzini: deve farlo però aggirando, ma non ignorando, gli accordi che vincolano i rapporti bilaterali.

Il colpo di teatro di Sam Rainsy però è stato ben studiato e ha ottenuto l’effetto desiderato comunque vada: rimettere sotto i riflettori della cronaca la Cambogia e soprattutto la sua monarchia dove un re acquiescente tollera un governo monocratico, repressivo e che tratta i cittadini come sudditi medioevali. La minaccia per sabato del rientro in Cambogia (via Thailandia) della leadership in esilio, ha mandato il premier su tutte le furie: così Hun Sen – gridando al golpe –  ha spedito soldati alle frontiere, inasprito la stretta nel Paese e mobilitato i suoi ambasciatori per chiedere l’arresto dei vari rappresentanti del partito (sciolto nel 2017) che da diverse nazioni cercassero di raggiungere Phnom Penh. La povera Mu Sochua si è vista rimpallare tra Indonesia e Malaysia (ha passaporto americano), ospite scomoda di Paesi che non hanno ottimi rapporti con Hun Sen, un leader al potere dal 1984 e imbarazzante persino per le democrazie autoritarie della regione.

Un editoriale del Bangkok Post lo invitava a mediare ricordandogli che il suo Paese – ormai a “partito unico” – è sotto tiro dalla Ue che sta “valutando se eliminare le preferenze commerciali e cioè l’accesso esente da dazi per le esportazioni verso l’Europa mentre gli Stati Uniti hanno già iniziato a introdurre sanzioni diplomatiche e a rivedere il proprio regime commerciale preferenziale”. Basterà? Comunque vada la vittoria è di Sam Rainsy.

In copertina l’apertura del sito web del Partito della salvezza

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