Centro America: rispediti all’inferno

Il nuovo presidente del Guatemala ratifica l'accordo con gli Usa. Le donne, prime vittime

di Maurizio Sacchi

Da novembre, gli Stati Uniti hanno inviato più di 230 honduregni e salvadoregni in Guatemala, ai sensi di un accordo di cooperazione in materia di asilo, firmato a luglio dall’ex presidente guatemalteco Jimmy Morales. Secondo il cosiddetto accordo “terzo paese sicuro“, i funzionari statunitensi dell’immigrazione possono inviare migranti di vari Paesi centroamericani in Guatemala, per chiedervi asilo, o tornare a nel loro paese d’origine.

Il nuovo Presidente del Guatemala, Alejandro Giammattei, che ha prestato giuramento la scorsa settimana, si era riservato un giudizio sull’accordo fino a quando non fosse stato possibile analizzare i documenti lasciati in sospeso dalla precedente amministrazione. Alla fine, gli Stati Uniti hanno fornito i documenti per la revisione, ha dichiarato Giammattei. Si tratta di un patto, imposto da Donald Trump ai Paesi dell’istmo, nel quale si prevede che siano gli stessi governi centroamericani ad assumersi l’onere di bloccare il flusso dei migranti, diretti verso la frontiera sud della repubblica stellata. In caso di mancata adempienza, gli Stati uniti sospenderebbero gli aiuti che tradizionalmente inviano a questi Stati. Tale accordo, era stato mantenuto segreto nei suoi dettagli dal presidente uscente, Jimmy Morales.

Ma la base stessa dell’accordo ha suscitato critiche diffuse, in America centrale e negli Stati uniti. I gruppi per i diritti umani hanno più volte fatto notare che il Guatemala – il principale Paese di origine di migranti e richiedenti asilo arrestati al confine meridionale degli Stati Uniti – non è un Paese sicuro per chi fugge dalla violenza e dalla povertà.

Alejandro Giammattei, del partito di destra Vamos, medico ed ex-direttore del sistema carcerario, ha prestato giuramento il 20 gennaio per un mandato di quattro anni. “Questo è il momento di salvare il Guatemala dall’assurdo. È il momento di combattere la corruzione e la malnutrizione. Governeremo con decenza, con onorabilità e con valori etici”, ha dichiarato Giammattei nel suo primo discorso da presidente.

Designare le bande di strada come gruppi “terroristici” è una delle riforme promesse da Giammattei. Una misura che permetterà alle forze di polizia di utilizzare la mano dura, ma che difficilmente farà qualcosa per intaccare il potere di fatto che le famigerate maras esercitano nei quartieri. Un fenomeno non solo non ostacolato, ma creato dalle stesse politiche di espulsioni dagli Usa dei suoi appartenenti, che li rimandano al contrario in questa area del mondo, del tutto incapace di contrastarne il potere mafioso. “Se ci mandano in Guatemala, ci stanno rimandando alla morte”, ha detto ad Al Jazeera Edwin, un 37enne richiedente asilo dell’Honduras, di cui il quotidiano nasconde il cognome per comprensibili motivi, attualmente in Messico con la sua famiglia dopo essere fuggito dall’estorsione e dalle minacce di morte.

In prima linea in questo fronte di guerra sono le donne e le bambine. L’ Italia finanzia interamente un programma di aiuti diretto proprio alle donne centroamericane, che batte bandiera delle Nazioni unite, dal nome “Donne, economia locale e territorio”
-Melyt il suo nome ufficiale-, che si impegna a creare condizioni di vita accettabili per quelle che sono le prime vittime di questo conflitto, che fa della regione mesoamericana una delle aree più violente del mondo, insieme a Siria, Afghanistan e Iraq.
Secondo uno studio pubblicato di recente da Melyt, solo il 20 percento di coloro che si mettono in marcia per gli Stati uniti riesce attualmente a stabilirvisi. E di essi, più della metà sono donne. L’ 80 percento prima o poi sarà destinato a ritornare in queste terre, sotto la doppia minaccia di governi violenti e corrotti, e del regno di terrore instaurato dalle maras.

 

nell’immagine da Wikipedia, il membro di una mara. Sopra il neo presidente

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