di Alice Pistolesi
Tornano le tensioni tra lo stato cileno e i mapuche, la comunità indigena più numerosa del Paese. Dallo scorso 12 ottobre, anniversario dell’arrivo dei colonizzatori spagnoli nelle Americhe, in quattro regioni del Paese latinoamericano (Arauco e Biobío nel Biobío e Malleco e Cautíin, nell’Araucanía), il presidente Sebastian Piñera ha decretato lo stato di emergenza. Un provvedimento che implica, tra le altre cose, la concessione di ampi poteri alle forze armate e che è stato dichiarato, secondo il capo di Stato, per far fronte a “gravi e reiterati fatti di violenza commessi da gruppi armati vincolati al narcotraffico, il terrorismo e il crimine organizzato”.
Negli scontri con le forze di polizia, avvenuti nei giorni scorsi nella provincia meridionale di Arauco, sono morti due membri della comunità indigena Mapuche mentre altri tre, tra cui una bambina di nove anni, sono rimasti gravemente feriti. Le vittime sono due mapuche di 23 e 44 anni, deceduti a causa di ferite da arma da fuoco, stando a quanto riferito dai funzionari sanitari. Tre invece gli arresti. In seguito agli scontri il Presidente ha prorogato di 15 giorni la militarizzazione di queste regioni e richiesto di dispiegare nuove forze militari nelle regioni di Biobio e Araucania.
“Il popolo mapuche – ci racconta uno dei membri della comunità di Temuco – ha generato un processo di lotta affinché lo stato del Cile restituisca le terre usurpate e consegnate alle società forestali, terre che sono state confiscate durante la dittatura militare. Questo ha generato una profonda crisi politica nelle regioni in cui vivono le comunità mapuche, molta repressione, violazione dei diritti umani, che alla fine determina l’instaurazione dello stato emergenza, dove la libertà di spostamento è limitata così come tutte le altre libertà delle persone”.
Nei giorni scorsi nel comune di Cañete c’è stata una marcia di comunità “per ripudiare la presenza militare ed è lì che la polizia ha sparato”. Secondo quanto riportato dall’Alleanza Territoriale Mapuche ha perso la vita un Weychafe (guerriero mapuche) del territorio di Huentelolen. “Di questo omicidio – scrivono – sono direttamente responsabili il malgoverno, i politici e gli uomini d’affari che hanno sostenuto l’occupazione del nostro territorio ancestrale”.
Mentre i cileni aspettano di andare a votare il loro nuovo presidente il 21 novembre, la lotta mapuche si fa sempre più serrata. Il 6 ottobre, alcuni ‘weychafe’ in passamontagna, che fanno parte della Resistenza Territoriale Mapuche hanno diffuso un video nel quale annunciano di essersi schierati nelle zone montane del comune di Collipulli. “L’obiettivo di questo movimento -dicono – è quello di articolare un gruppo di autodifesa nell’ambito del recupero territoriale che ormai da diversi mesi viene portato avanti sulle proprietà usurpate dal nefasto Corpo Forestale Conaf, dove i membri della comunità stanno svolgendo attività produttive, abitative e di recupero di una proprietà di oltre 33mila ettari”.
“Questa compagnia statale cilena- continuano – che si dichiara favorevole alla protezione della foresta e della fauna autoctona, in pratica non si dimostra altro che la continuazione di pratiche estrattive che traggono profitto dalla distruzione di ogni forma di vita nel nostro Wallmapu (il territorio mapuche, ndr). Un’altra azienda basata sulla green economy, preoccupata solo della sostenibilità delle proprie tasche”. Per questo i weychafe dichiarano “che resisteranno con mezzi armati contro ogni tentativo di raid, e riterranno il Conaf responsabile di qualsiasi tipo di conseguenza che l’incursione della polizia militarizzata nella zona possa avere”.
*In copertina un fermoimmagine di un video diffuso il 5 novembre da Mapuexpress