Clinton e Trump, la forbice si chiude

di Cristiano Vezzoni

A due giorni dal voto la forbice tra Clinton e Trump si chiude, ma è fisiologico. Due settimane fa, i giochi sembravano fatti. Tutti i commentatori non ragionavano più sulle possibilità di Hillary Clinton di diventare presidente degli Stati Uniti, ma sulle dimensione che questa vittoria avrebbe preso. Ora a due giorni dal voto una partita chiusa sembra riaprirsi. Cosa è successo? L’aria è cambiata a 11 giorni dall’elezione quando l’Fbi ha comunicato al Senato la riapertura di indagini su un caso che coinvolge la Clinton. In veste di Segretario di Stato, la Clinton risulta aver contravvenuto alle regole di sicurezza a cui i funzionari del governo americano sono tenuti. Niente di concreto è emerso fino ad ora, ma il clamore mediatico che la notizia ha sollevato ha permesso a Trump di distoglie l’attenzione dalle enormi difficoltà della sua campagna e di riprendere ad attaccare a muso duro la rivale. Ma è davvero stata l’indagine Fbi a cambiare le sorti della partita? È difficile da credere. Ci sono almeno altri due elementi da prendere in considerazione. Il primo è fisiologico. Tanti repubblicani stanno tornando all’ovile. Questo fatto non sorprende, perché tipico nelle elezioni americane e non solo. All’avvicinarsi della scadenza elettorale, gli elettori generalmente finiscono per votare il candidato del loro partito al quale appartengono. Magari «holding their noses», versione inglese del ben noto italiano «turandosi il naso». E così sta succedendo soprattutto per Trump, nonostante i dubbi e a volte anche l’aperta ostilità nei suoi confronti da parte di tanti repubblicani, che alla fine però lo voteranno. Il secondo invece riguarda la strategia comunicativa che la Clinton ha seguito dopo il terzo dibattito (quello del 9 ottobre), quando ormai la disputa sembrava chiusa. Il messaggio che è passato è che la vittoria della Clinton era certa e che non era più necessario un grande sforzo per conquistare nuovi voti. La campagna poteva quindi concentrarsi sulle elezioni del Senato per riuscire a conquistare anche lì una storica maggioranza. Questa certezza quasi baldanzosa del risultato ha contraddetto il principale obiettivo per il quale la macchina elettorale della Clinton era stata costruita, cioè di convincere ogni possibile elettore a esprimere il suo voto. Il messaggio «get out the vote!», vai a votare perché ogni voto conta! Ne è uscito molto indebolito e così anche la mobilitazione tra gli elettori democratici è scesa. L’indagine dell’Fbi è quindi arrivata in un momento in cui la campagna della Clinton era in una sorta di stallo, mentre la campagna di Trump stava riprendendo vigore. E queste tendenze negli ultimi dieci giorni si sono consolidate. Quale è ora lo stato dell’arte, a due giorni dal voto? In effetti tutti i sondaggi sembrano suggerire che il divario tra i candidati sì è ridotto. Uno tra i più influenti siti di previsioni sull’esito dell’elezione (http://projects.fivethirtyeight.com) dà la vittoria della Clinton al 64%, contro la stima dell’85% di dieci giorni fa. Altri modelli sono più cauti, ma vedono comunque le probabilità della Clinton in discesa (http://www.nytimes.com/section/upshot, dal 93% del 25 ottobre all’84% di oggi). Nonostante questo trend negativo, la Clinton sembra saldamente al comando e, alla luce delle previsioni dettagliate sui singoli Stati, martedì prossimo non dovrebbero esserci sorprese. Alla Clinton basta infatti conquistare uno degli stati in bilico, mentre Trump dovrebbe vincere in tutti gli stati in cui la partita è aperta. Assai improbabile. Le risposte definitive arriveranno domani (martedì 8 novembre), alla chiusura dei seggi sulla costa occidentale. I candidati utilizzeranno freneticamente queste ultime ore per convincere gli ultimi elettori indecisi a uscire di casa e andare a votare. Vedremo allora quale sarà l’esito di una campagna che, se si considerano le primarie, è durata 600 giorni e che ha visto gli elettori schierarsi soprattutto in funzione di motivazioni negative, contro piuttosto che a favore di un candidato. Rimane quindi una domanda cruciale: dopo una campagna così aspra e divisiva, una volta chiusi i seggi e contati i voti gli americani riusciranno a ricompattarsi dietro il loro 45° presidente o le divisioni che la campagna ha esacerbato continueranno a lacerare una società in radicale trasformazione?

foto tratta da http://www.commondreams.org/news/2016/05/06/election-2016-not-donald-trump-vs-not-hillary-clinton

 

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