Colombia: fuggire dal Venezuela in canoa (3)

Arauca e Arauquita sono punti strategici per la diaspora bolivariana, ma anche per i gruppi armati. Il reportage dalla missione di Intersos

di Alice Pistolesi

Arauca, Arauquita. Colombia

Sul fiume Arauca le canoe fanno la spola da una riva all’altra.  Ad Arauquita, così come ad Arauca è questo il modo in cui i migranti venezuelani (pendolari, in transito o che intendono restare) arrivano in Colombia. Se i passaggi legali, ovvero i ponti internazionali, restano sostanzialmente chiusi, i bisogni che portano la gente a lasciare il Venezuela non possono certo attendere. Anche Arauca, come Cucuta, è uno dei punti da cui parte la migrazione dei caminantes, coloro che, per mancanza di mezzi economici, affrontano il viaggio a piedi per approdare (dopo settimane di cammino) a Bogotà, Cali, Medellin, ma anche in Perù, Ecuador e Cile. La rotta è però meno organizzata: sono infatti solo due i punti di aiuto umanitario che i migranti incontrano lungo la strada.

Il fiume Arauca da Arauquita, sulla sponda opposta il Venezuela (foto di Alice Pistolesi)

Sulla via che collega Arauca ad Arauquita si trova la zona petrolifera di Caño Limón, punto strategico per l’approvvigionamento energetico del Paese. Il beneficio di questa ricchezza però, come spesso accade, non ricade sulla popolazione locale: le strade sono dissestate, gli indigenti sono tantissimi. Di questa abbondanza di petrolio, inoltre, non beneficia la gente: la benzina si vende in bottiglie di plastica. Ma proprio per la ricchezza del suo sottosuolo l’area è da sempre tra gli interessi dei guerriglieri che si contendono l’area. Tutte le auto che attraversano devono passare da due chackpoint dell’esercito e gli incidenti sono comunque frequenti: ultimo episodio la scorsa settimana, quando uno scontro è costato la vita a un militare.

Nell’area sono attivi quattro gruppi armati. Tre colombiani che non hanno firmato gli accordi di pace: Eln, una parte delle Farc e un gruppo che da quest’ultimo ha preso le distanze. Da pochi mesi si è installato nella zona il gruppo venezuelano dei Tren de Aragua. Tutti e quattro si contendono il controllo dell’area. Di questi scontri parlano anche i muri: gran parte degli asentamientos (insediamenti informali in cui vivono sia venezuelani che colombiani ritornati) e dei villaggi sono marcati con le scritte dei gruppi guerriglieri.

A destabilizzare il tutto c’è poi anche la situazione politica. Proprio mentre andiamo percorriamo la strada da Arauca ad Arauquita sentiamo alla radio una notizia che destabilizza tutti: José Facundo Castillo, governatore di Arauca, è stato catturato da funzionari del Cuerpo Técnico de Investigación (Cti) appena atterrato a Bogotà. Tra le sue accuse anche quella di finanziamento del terrorismo. Secondo la Procura tra il 2012 e il 2021, Castillo avrebbe consegnato contratti a persone del fronte Domingo Laín Sáenz dell’Eln in cambio di logistica e protezione militare nei viaggi attraverso i comuni della zona.

Arauquita, dopo la crisi

Tra marzo e aprile 2021 Arauquita ha vissuto una grave crisi. Il 21 marzo sono infatti iniziati gli scontri tra le Forze armate nazionali bolivariane del Venezuela e i dissidenti delle Farc nello stato venezuelano di Apure. In pochi giorni migliaia di persone sono entrate in Colombia in fuga dalla guerriglia. “Affrontare questa crisi è stata molto dura, – spiega Juan Carlo Agudelo, segretario comunale di Arauquita – Il Comune non riceve aiuti dallo Stato per gestire la migrazione e noi facciamo quello che possiamo ma non riusciamo a coprire tutte le necessità. Ad esempio abbiamo avuto molte spese per coprire i costi funerari dei venezuelani che muoiono qui, ma non abbiamo modo di farlo per tutti. Ci sono persone che sono costrette a tenere il cadavere del proprio caro in congelatore per varie settimane”.

L’amministrazione si muove su un filo molto sottile tra accoglienza ai cittadini migranti e assistenza ai colombiani in difficoltà. “Non possiamo rischiare che i moltissimi colombiani indigenti si sentano abbandonati perché le nostre energie vanno sui migranti. Questo genererebbe episodi di xenofobia e violenza, che in passato abbiamo avuto e contro i quali stiamo ancora cercando di agire”.

La fuga dal Venezuela

“Siamo fuggiti su una canoa – racconta Leila, una delle donne che Intersos sostiene – Mi ricordo che era buio, che c’erano i bombardamenti e che ho preso il mio bimbo al volo per partire velocemente. Ero incinta di sette mesi. Quando sono arrivata per sono stata portata subito in ospedale: se restavo in Venezuela sia io che il mio bambino eravamo morti. Lui ha avuto un blocco respiratorio alla nascita ed è stato curato qui”.

Leila con il suo bambino (foto di Alice Pistolesi)

“Qui in confronto al Venezuela viviamo come re – ci dice indicando la piccola capanna in cui vive insieme ad altre 25 persone – Molto spesso sono stata costretta a far cenare mio figlio con solo un mango perché non avevo altro da dargli”.

Anche Maria, un’altra delle beneficiarie dei progetti di protezione di Intersos, è fuggita dagli scontri quando era incinta e ora ha paura che possano ricominciare. “In molti pensavo che questa calma non durerà e abbiamo molta paura. Ora vivo abbastanza bene, in Venezuela avevo paura anche a stendere il bucato, invece qui nessuno mi ha mai rubato niente”. Maria vive con il marito, il loro bambino, il fratello e il cognato. “Stiamo andando avanti con la nostra vita, lavoriamo alla giornata e qualcosa riusciamo a mangiare tutti i giorni”.

Maria con il suo bambino (foto di Alice Pistolesi)

 

I reportage sulla disapora venezuelana in Colombia:

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