Commerciare ma solo con gli alleati

“Friend-Shoring". Gli scambi commerciali affrontano una profonda ristrutturazione. Si parla di nuove alleanze tra soli “Paesi-amici”, ma il modello sembra  pieno di insidie

di Ambra Visentin

D’ora in poi si fanno affari solo con gli “amici”. Il commercio mondiale, dopo l’aggressione della Russia in Ucraina, sembra destinato a riorganizzarsi attorno a due campi gravitazionali: da una parte gli Stati Uniti dall’altra la Cina. All’interno di questo assetto si allacciano nuovi scambi al fine di creare una rete di soli “Paesi-amici”. Questo fenomeno è definito “friend-shoring” e secondo molti economisti si tratterebbe di una strategia non priva di rischi. La fragilità del nostro sistema di approvvigionamento e la fallibilità della rete economica mondiale si sono palesate in diverse occasioni in questi ultimi anni. In prima istanza a seguito della guerra commerciale lanciata dall’ex Presidente Usa Donald Trump a Cina e UE, poi alla luce dell’incidente nel canale di Suez e infine con l’impatto della pandemia di Covid-19 che ha fatto saltare diversi contratti di forniture. Potenze commerciali come la Germania hanno così dovuto registrare un balzo del tasso d’inflazione dal 2,5 al 7,9 per cento in un solo anno.

Secondo le proiezioni della World Trade Organization, riportate da The Wall Street Journal il 6 giugno, una tale polarizzazione causerebbe una perdita complessiva del commercio globale del 5% in un arco di 10-20 anni, pari ad una perdita di 4,4 trilioni di dollari. In un possibile allineamento che vede Cina, India, Brasile e Messico – prendendo in considerazione, ad esempio, i Paesi che si sono astenuti o espressi contro l’espulsione della Russia dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite – il “buco” nelle importazioni da parte dei membri dell’Ocse sarebbe del 35%, accompagnato da un’inflazione ai livelli raggiunti in piena pandemia.

A pagare il prezzo più alto dei giochi politici tra grandi potenze sarebbero i Paesi in via di sviluppo, che traggono beneficio dal trasferimento delle tecnologie in atto grazie alla globalizzazione.  Inflazione e crisi economica dilaganti sono il contraccolpo di sanzioni introdotte per fermare la Russia. Sorge spontaneo chiedersi se funzionerà. Secondo il giornalista iraniano Kourosh Ziabari «le autocrazie ostinate – in particolare quelle ricche di riserve energetiche e con alleati disposti a dare loro un salvagente economico in tempi di crisi – non possono essere piegate con sanzioni economiche».

Inoltre esistono “modelli” alternativi e fuori dal radar, già rodati e pronti all’uso. La Russia “studia” il caso Iran, Paese sotto forti sanzioni dal 1979, con molta attenzione. Richard Nephew, ex inviato speciale degli Stati Uniti in Iran, spiega come «il raggiro delle sanzioni avvenga sottotraccia». «I governi e i loro compari – dice – creano società di facciata per ottenere e commerciare beni, usano gruppi criminali come intermediari e riciclatori di denaro e trasferiscono il petrolio sottoposto a embargo al di fuori della rete». Tesi confermata anche da Cormac McGarry, analista marittimo della società Control Risks, il quale riporta che secondo le stime l’8% delle petroliere mondiali trasporta greggio illegale, principalmente dall’Iran e dal Venezuela.

La strategia del “friend-shoring” presenta dunque dei grossi limiti, tra cui una cavalcante inflazione e un crollo nelle entrate della forza lavoro nei paesi in via di sviluppo, con conseguente impoverimento di una sempre più larga fetta di popolazione mondiale. In una video-inchiesta di 90 minuti del giornalista russo Alexey Pivovarov sulla situazione in Iran si trova una chiave di interpretazione sull’effetto delle sanzioni: dentro i grandi centri commerciali della capitale, colmi di merce dei grandi brand illegalmente importati, lo shopping continua come nulla fosse mai stato. “Fuori” la popolazione fatica a pagare l’affitto.

In copertina un cargo americano. Foto di Vincent Clifton  (Wikipedia)

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