Kirghizistan

Tra il 28 aprile e il primo maggio 2021, lungo il confine tra Kirghizistan e Tagikistan si sono verificati i più violenti scontri armati registrati nella Regione negli ultimi vent’anni. Rispetto a episodi simili del passato, e stata particolarmente preoccupante la presenza degli eserciti regolari, l’uso di mortai e mezzi pesanti. Il bilancio e grave: centinaia di feriti, case distrutte, circa 50.000 residenti su entrambi i lati del confine costretti a lasciare le proprie case. Secondo i dati ufficiali, le vittime kirghise sarebbero 36 e 19 quelle tagiche.

Il conflitto tra Kirghizistan e Tagikistan

Il conflitto ha avuto origine a Golovnoy, un punto di distribuzione idrica che il Kirghizistan considera come proprio Territorio, ma lo stesso fa il Tagikistan. Secondo le autorità kirghise, all’origine degli scontri ci sarebbe stata l’installazione da parte dei tagichi di videocamere di sorveglianza nei pressi di un punto di distribuzione idrica, nella Regione Batken. Si tratta di un caso esemplare. Gli incidenti più violenti intorno e sul confine kirghiso-tagico sono sempre dipesi da dispute sulle infrastrutture, sulle terre o sulle risorse idriche, oppure dalla costruzione di edifici sui terreni contesi. Lo stesso vale per il confine kirghiso-usbeco. L’Uzbekistan, infatti, ha a lungo adottato una posizione muscolare sulle questioni transfrontaliere, potendo contare sull’esercito meglio equipaggiato della Regione: confini minati, invio di truppe nei territori contesi, retorica guerresca. Un cambio significativo di registro e arrivato pero nel 2016, con l’elezione a presidente di Shavkat Mirziyoyev, che ha sostituito l’autocrate usbeco Islam Karimov, il quale aveva instaurato una sorta di guerra fredda con l’omologo tagico, Emomali Rahmon, proprio per la costruzione di alcune centrali idroelettriche.

I rapporti bilaterali e il nemico esterno

Piu che dal raffreddamento o dall’inasprimento dei rapporti bilaterali, sostengono gli analisti, la durezza degli scontri tra Kirghizistan e Tagikistan e dipesa dall’uso strumentale che i partiti al potere hanno fatto dell’incidente iniziale. Per tutti i Governi dell’Area, l’enfasi sul nemico esterno e finora servita a ottenere sostegno pubblico e a dirottare l’attenzione da gravi problemi interni, a partire da quelli economici e dell’iniqua distruzione delle risorse statuali. Nel caso in esame, il discorso vale in particolare per il kirghiso Sadyr Japarov, arrivato al potere in modo controverso tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 e capace di ricompattare il quadro politico intorno alla guerra contro il Tagikistan. Sul fronte tagico, lo stesso presidente Emomali Rahmon, al potere dal 1994, pur dicendosi disposto alla risoluzione diplomatica del contenzioso, ha voluto rassicurare la popolazione recandosi di persona a Vorukh, enclave tagica circondata da territorio kirghiso, dichiarando che rimarrà sempre territorio tagico. I conflitti nell’Area dipendono sempre più spesso dalla tendenza, diffusa negli ultimi venticinque anni, a rafforzare le rispettive identità nazionali. Ciò ha favorito il consolidamento di autopercezioni esclusive, che non rimandano più alla comune matrice sovietica.

Confini ed enclave

Conflitti e scontri sono una costante da quando le linee di confine sono state tracciate, negli anni Venti e Trenta del Novecento. La matrice va ricondotta alla riforma amministrativa e territoriale realizzata in Asia centrale alla meta degli anni Venti del secolo scorso, riforma che ha condotto alla formazione degli attuali Stati di Kazakhistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Se all’interno dell’Urss quei confini erano perlopiu formali e non impedivano gli attraversamenti, con la nascita delle nuove statualità i residenti delle aree di frontiera e delle numerose enclave hanno cominciato a subire le conseguenze delle spartizioni tra nuove territorialità sovrane. La presenza di enclave di popolazione diversa da quella maggioritaria riguarda tutti i Paesi dell’Asia centrale tranne il Turkmenistan. Il Kazakistan non ne ha nel proprio territorio, ma ne ha due in quello usbeco. Lo stesso vale per il Tagikistan, che ha due enclave nel Kirghizistan e una in Uzbekistan. A sua volta, il Kirghizistan ospita quattro enclaveusbeche e due tagiche. In Uzbekistan, per finire, c’è una enclave tagica, una kirghisa e due kazache. Il problema e particolarmente evidente nella valle di Fergana, divisa tra Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan, dove l’alta densità abitativa, le scarse risorse di terra e idriche, la crescente disoccupazione favoriscono l’emersione di conflitti. Solo di recente le autorità usbeche hanno scelto una politica di disgelo nella Valle, ripulendo dalle mine una parte del confine con il Tagikistan e riaprendo molti posti di blocco. L’altro grande problema della Regione riguarda la presenza di migliaia di chilometri di confini contesi. La gravita delle tensioni frontaliere dipende da caso a caso. Particolarmente difficile e la situazione del confine tra Kazakistan e Turkmenistan, che passa attraversa l’altopiano desertico di Ustyurt: ci sono voluti ben diciassette anni per concludere, nel 2018, un accordo tra i due Paesi. Il percorso diplomatico che ha portato all’accordo negoziale sul confine kazako-kirghiso e durato invece vent’anni, dal 1999 al 2019. Dopo un ennesimo incontro nel maggio 2021, i negoziati tra Kazakistan e Uzbekistan potrebbero chiudersi prima della fine dell’anno. La prima visita di Stato del Presidente usbeco e stata ad Ashgabat, nel Turkmenistan. Interrotta nel 2000, la discussione sul lungo confine – 1.650 chilometri – e ripresa quest’anno e potrebbe risolversi. Iniziate nel 2003, nel 2017 le negoziazioni sul confine tra Uzbekistan e Kazakistan hanno avuto una svolta positiva, con la quasi completa demarcazione delle competenze sul confine di 2.300 chilometri. Progressi negli ultimi anni anche sul confine di 1.300 chilometri tra Uzbekistan e Tagikistan, di cui circa il 20% e conteso. Nel marzo 2018, Shavkat

Mirziyoyev ed Emomali Rahmon hanno siglato un accordo su alcune porzioni, mentre le commissioni di demarcazione si incontrano regolarmente. Tra Uzbekistan e Kirghizistan ci sono stati scambi parziali di territorio nel settembre 2019 e il 92% delle linee di confine e stato concordato. Quanto al confine tra Kirghizistan e Tagikistan, si tratta di circa 970 chilometri di cui e chiaramente demarcato soltanto il 60%. Come abbiamo visto, rimane fortemente conteso e ha registrato conflitti regolari negli ultimi anni: più di una dozzina di scontri violenti soltanto nel 2020. E gli scontri più recenti, della scorsa primavera, con morti e feriti. A dispetto dei progressi diplomatici elencati, e probabile che conflitti di natura etno-comunitaria continuino a interessare la Regione. A ridosso dei trent’anni dall’anniversario della loro indipendenza, coincidente con la dissoluzione dell’impero sovietico, i Paesi dell’Asia centrale non hanno ancora confini chiaramente definiti, accettati da tutti.

Il quadro regionale e internazionale

Letto dentro una cornice regionale, il recente conflitto militare tra forze tagiche e usbeche evidenzia alcuni elementi positivi. Gli altri Paesi dell’Asia centrale hanno infatti accuratamente evitato di schierarsi per l’uno o per l’altro attore della disputa, con una postura equilibrata. Anche sul piano internazionale, nessuna delle grandi potenze con interessi strategici nella Regione (Stati Uniti, Russia o Cina) ha dimostrato particolare interesse a sfruttare la situazione per ottenere un vantaggio strategico. Ma il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan e l’incapacità della Russia – sovraesposta su altri fronti – a mantenere il controllo sugli organismi di sicurezza regionali hanno innescato nuove dinamiche internazionali, i cui contorni verranno meglio definiti nei prossimi mesi e anni.