Libia

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Da febbraio 2022 è in corso un braccio di ferro tra le due coalizioni rivali in Libia. Da una parte, il Governo di unità nazionale (Gun) del premier ad interim Abdulhamid Dabaiba. Dall’altra il neoeletto Governo di stabilità nazionale (Gsn) designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, appoggiato dal generale Haftar.

Nel maggio 2022, il Gsn è entrato a Tripoli, solo per poche ore. L’arrivo del premier Bashaga e della sua delegazione ha innescato combattimenti tra milizie rivali: secondo l’ufficio media dello stesso primo Ministro, questi ha deciso di lasciare la Capitale “per fermare lo spargimento di sangue e garantire la sicurezza delle persone”.

A luglio 2022, sono scoppiate tensioni nelle piazze. A Sebha, nel Sud-ovest, ci sono state proteste aizzate dai gheddafiani contro le forze di Haftar. A Tripoli, i giovani hanno chiesto un intervento contro le milizie armate, l’inflazione e le continue interruzione di corrente. A Tobruk, i manifestanti hanno incendiato la sede del Parlamento.

Al centro della contesa, anche il controllo dei pozzi petroliferi. Dalla metà di aprile 2022, i giacimenti sono chiusi e le esportazioni bloccate a causa dei continui scontri politici volti al controllo dei proventi dell’oro nero. La Banca centrale libica afferma che il Paese ha ufficialmente perso 3,5miliardi di dollari nella prima metà del 2022. La situazione sta diventando molto grave anche per il sistema elettrico libico, che dipende dal petrolio e dal gas.

La crisi petrolifera si è aggravata tanto da costringere la National Oil Corporation a dichiarare lo stato di forza maggiore. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione, Mustafa Sanalla, ha addossato la responsabilità della situazione ai politici. Ha persino accusato il Ministro del Petrolio e del gas del Gun di fuorviare i cittadini libici circa la gravità delle condizioni libiche. Il Gun lo ha sollevato dall’incarico.

Il clima è quello di una possibile ripresa della guerra civile, anche perché i negoziati internazionali a Il Cairo e Ginevra non danno risultati. Lo stallo ha spinto Onu e Usa a suggerire che i proventi petroliferi libici siano gestiti da custodi terzi, per garantire una distribuzione equa e porre fine all’impasse.

In relazione alle questioni militari, è da ricordare che sul territorio libico è presente un nutrito contingente turco. Nel gennaio 2020, il Governo di accordo nazionale libico e Ankara hanno concluso un accordo militare per cui i turchi si impegnavano a sostegno di Tripoli. La missione è stata prolungata per due volte, l’ultima a giugno 2022.

Per cosa si combatte

Per Gaetano Salvemini, contrario alla guerra italo-turca del 1911, la Libia era solo uno “scatolone di sabbia” privo di interesse. Nel 1939 fu il geologo Ardito Desio (futuro capo spedizione per la conquista italiana del K2) a dimostrare che il politico italiano aveva torto: scoprì giacimenti di magnesio e potassio e l’indicazione della presenza di idrocarburi nell’oasi di Marada, 120 chilometri a Sud di El Agheila, dove Graziani aveva allestito il più grande campo di concentramento per i ribelli libici. Furono le compagnie americane, dopo la Seconda Guerra Mondiale, a confermare l’enorme ricchezza nascosta sotto il suolo del Paese. Secondo una stima della Energy Information Agency degli Usa, la Libia possiede la più grande riserva di greggio dell’intero Continente africano, con 48miliardi di barili (6,5miliardi di tonnellate) e la quarta riserva di gas naturale, dopo Nigeria, Algeria ed Egitto, con 55trilioni di piedi cubici (circa 2miliardi di metri cubi). La qualità del petrolio, definito “dolce”, è considerata la migliore del Mondo. Il suo costo di estrazione è basso, la vicinanza all’Europa fa sì che l’85% venga esportato ai nostri mercati.

È una torta che fa gola a molti e che è alla base del vasto interesse di attori esterni e interni confermato più volte dagli schieramenti nel conflitto civile. Attraverso la presenza dell’Eni, il legame tra Libia e Italia (che compra il 21,1% di petrolio e gas libico) non si è mai interrotto.

Quadro generale

La Libia di oggi è il risultato di un passato molto tormentato. Fu sotto il fascismo che i confini attuali furono più o meno tracciati e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, col beneplacito di Londra e Washington il Paese divenne il “Regno Unito di Libia”, monarchia ereditaria e costituzionale. Con Muammar Gheddafi si ebbe il primo vero tentativo di unificare le popolazioni di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan.

Le entrate del petrolio consentirono al giovane ufficiale di sviluppare le infrastrutture del Paese. Se gli interventi a pioggia alzarono il livello di vita della popolazione, non eliminarono le antipatie e tensioni sociali. Negli anni ’70, col suo Libro verde, Gheddafi indicava una complessa via al socialismo che sposava filosofia occidentale e letture laiche del Corano. Le proposte contraddicevano tradizione musulmana e realtà della società tribale locale. Come modello di sviluppo citava spesso il kibbutz israeliano. I petrodollari gli garantirono ampi consensi ma le sue posizioni anti-occidentali, il sostegno economico e talvolta militare ai più disparati movimenti rivoluzionari furono considerati una minaccia. Schiacciava con mano ferma il dissenso interno, in parte fomentato dal clero islamico. Fu il primo a mettere in guardia Washington dalla pericolosa radicalizzazione degli ex-combattenti (molti libici) andati in guerra in Afghanistan contro le truppe sovietiche e che formarono al Qaeda.

Negli anni precedenti l’assalto al suo Regime, riappacificatosi con l’Occidente, era nuovamente corteggiato da Washington e Londra. Lanciò segnali di cambiamento, spesso respinti dai gruppi di potere economico e dall’establishment che aveva creato favorendo tribù e capi tribù. Moti di protesta si manifestarono sull’onda della “primavera araba”. Il primo focolaio fu Bengasi il 16 febbraio 2011. I disordini divennero guerra civile e, a ottobre 2011, il leader libico rifugiato a Sirte fu catturato e assassinato in un’operazione coordinata da servizi segreti francesi e Usa.

Nel 2014, il fallimento di ogni accordo tra chi aveva partecipato ai moti anti-Gheddafi portò alla seconda guerra civile, in cui si inserì anche l’Isis. Si formarono due Governi, poi uno fallimentare di accordo nazionale. Nel 2017 era chiaro che interessi tribali, vecchi antagonismi e il coinvolgimento sempre più attivo di attori esterni avevano preso il sopravvento sui tentativi di riconciliazione nazionale.

Dall’agosto 2020 è in atto un processo di pace. Intanto, si cerca di quantificare i danni. Secondo alcune stime, il numero di libici espatriati in Tunisia dal 2011 è 1,8milioni, circa un terzo della popolazione. Decine di migliaia sono gli sfollati interni. Le cifre riguardanti morti e feriti gravi in dieci anni di conflitto variano da 3 a 25mila. L’Onu ha sollecitato un’inchiesta su crimini di guerra dopo la scoperta di fosse comuni con almeno 200 cadaveri a Tarhuna, che era sotto il controllo del generale Haftar.

Il 23 ottobre 2020 è arrivato l’accordo di cessate-il-fuoco, che ha portato a una distensione politica e diplomatica. Con le elezioni del 5 febbraio 2021 sotto l’egida dell’Onu, la Libia si è data un nuovo Esecutivo guidato da Abdul Hamid Dbeibah. Il “Governo di tutti i libici”, chiamato a guidare il Paese nel percorso di transizione democratica fino alle elezioni del 24 dicembre 2021, ha formalmente posto fine alla separazione tra quello di Fayez Al Serraj a Tripoli, noto come Governo di Accordo Nazionale (Gna) e riconosciuto a livello internazionale, e il Governo di stabilità nazionale fedele al maresciallo Khalifa Haftar, con sede a Tobruk.

Ma le elezioni presidenziali del 24 dicembre sono precipitate. Le cause generali, sempre le stesse. Le tensioni tra le varie parti politiche in gioco, le violenze delle milizie, i fallimenti delle mediazioni internazionali e le ingerenze di attori esteri negli affari libici hanno soffiato aria sul fuoco dell’instabilità interna. A complemento del quadro, l’incertezza sui candidati. Sin dall’indizione delle elezioni, i diversi attori si sono accusati di corruzione e violenze. La legge elettorale è stata oggetto di contestazioni tra Tripoli e Tobruk. Alla vigilia del voto, l’Alta Commissione elettorale nazionale non aveva potuto nemmeno pubblicare la lista dei papabili. Ha così sciolto i comitati elettorali e rimandato le elezioni sine die. 

Gli scontri politici dunque continuano, acuiti dalla crisi petrolifera e sociale e dalle tensioni internazionali. La Libia rimane un Paese in crisi.