Messico

La definizione che meglio identifica storicamente Messico e Centro America e “cortile di casa degli Stati Uniti”: fin dagli inizi dell’Ottocento infatti, mentre ereditavano intatto il modello coloniale dei conquistatori spagnoli, gli Usa vi applicarono la dottrina del presidente Monroe di “America agli americani”. Sono le terre dove nacquero le prime multinazionali del Pianeta, le bananeras (tanto da coniare per le piccole nazioni dell’Istmo il termine di “Banana republics”). Sono le terre più volte invase dai marines, a cominciare dal gigante Messico, che fu derubato della meta del suo territorio. Ed e proprio il Messico che, non a caso, sperimento nel 1910 la prima rivoluzione in ordine di tempo dopo quella francese (e prima di quella bolscevica) imperniata sull’atavico e irrisolto problema dell’America Latina intera: una riforma agraria che superasse il paradigma latifondisti versus peones.

L’intera Regione sta attraversando oggi uno dei suoi momenti più critici per i macroscopici squilibri sociali, una povertà galoppante, criminalità e corruzione incontenibili, cambiamenti climatici con sempre più frequenti uragani e siccità. Per finire, il colpo di grazia: la pandemia. Il traffico di droga ha poi convertito Paesi come il Guatemala e l’Honduras pressoché in narco-Stati (che fanno capo ai cartelli messicani) con le loro istituzioni in frantumi. A Tegucigalpa, dove a novembre si terranno le elezioni, il presidente Juan Orlando Hernandez e persino accusato direttamente di smercio di cocaina. Invece, il presidente guatemalteco Alejandro Giammattei e il suo predecessore Jimmy Morales hanno soppresso l’ultimo baluardo del funzionamento del sistema giudiziario: la Commissione Internazionale contro l’Impunita dell’Onu, creata nel 1996 dopo la fine del conflitto fra esercito e guerriglia.

In questo contesto, gli indici di violenza in tutta l’area si sono inesorabilmente impennati. Secondo l’ultimo rapporto sulle 50 città con più assassinii al Mondo, ben 18 sono messicane. Tra queste, sei sono in cima alla lista con 90/110 omicidi ogni centomila abitanti. La classifica comprende anche le due città principali dell’Honduras, mentre ne sono da poco uscite per un soffio San Salvador e Citta di Guatemala. Del resto, come potrebbe spiegarsi altrimenti l’antica e inarrestabile emigrazione dall’iIstmo centroamericano

verso gli Stati Uniti, un tempo piuttosto alla spicciolata e poi organizzatasi in carovane per limitare abusi ed estorsioni da parte dei trafficanti di esseri umani? Ci aveva pensato Donald Trump, col suo “muro”, ad arginare quest’esodo, convincendo a suon di ricompense le autorità messicane e i governanti dei Paesi del Triangolo del Nord (Guatemala, Honduras ed El Salvador) a fermare quei disperati già entro la frontiera guatemalteca.

I giovani nicaraguensi, invece, per fuggire dalla repressione del Regime di Daniel Ortega, hanno preferito come rifugio il tranquillo Costarica. Mentre più a Sud nessuno lascia Panama (patria del riciclaggio dei narcos), nonostante il raddoppio del canale interoceanico non abbia portato i benefici auspicati a causa della flessione dei trasporti marittimi internazionali. Prima di Trump, il presidente Barack Obama, per contenere

l’immigrazione, aveva inaugurato una politica di aiuti consistenti al Centro America, salvo poi essere

colui che ha disposto piu deportazioni di “illegali” dagli Usa. Tocchera ora a Joe Biden cercare qualche soluzione per salvare il proprio “cortile di casa” dalla rassegnazione.

Nicaragua

In Nicaragua si profilano elezioni dall’esito piuttosto scontato nel novembre 2021. Il presidente Daniel Ortega e la sua vice (nonche consorte) Rosario Murillo hanno predisposto ogni dettaglio per la loro conferma: una legge elettorale su misura, il rinnovo della Corte Suprema di Giustizia e del Tribunale Supremo Elettorale, la messa al bando di alcuni partiti scomodi, il riconoscimento dell’ambigua figura di Arturo Cruz come unico contendente di fatto (che ha impedito l’unificazione dell’opposizione) e infine l’incriminazione per presunto riciclaggio della vera antagonista, Cristiana Chamorro, figlia della ex presidente Violeta de Chamorro che s’impose col voto nel 1990 proprio sull’allora comandante Ortega.

Quella traumatica debacle elettorale si rivelo in realtà l’opera maestra di democrazia della Rivoluzione Sandinista che, sconfitta nel segreto dell’urna, passo la mano con il proposito del Frente Sandinista di rifarsi alle elezioni successive. Ma il suo leader Daniel Ortega, emarginando ogni dissenso interno al partito e con un patto di legittimazione reciproca esclusiva con i settori della destra estrema, disegno una messianica strategia per tornare a tutti i costi al potere, per non mollarlo mai più. Si reinsedio alla Presidenza nel 2007 da neoliberista: tradì cosi la propria base sociale per sommare il proprio clan familiare alla storica compagine oligarchica legata al passato dittatore Somoza, garantendole esenzioni fiscali, pace sociale e i salari minimi più bassi della Regione. E si guadagno al contempo la non belligeranza degli Usa con la ratifica del Trattato di Libero Commercio per poi accettare di piegarsi alle ricette del Fondo Monetario Internazionale. Niente di più lontano dall’antimperialismo bolivariano opportunisticamente sventolato da Ortega per beneficiare degli aiuti del chavismo del Venezuela. E in questo clima che e scoppiata la sorprendente quanto spontanea rivolta popolare dell’aprile 2018 guidata dagli studenti universitari (i “nipoti” del general de hombres libres Augusto C. Sandino): fu soffocata nel sangue, nelle prigioni e con l’esodo in Costarica di decine di migliaia di nicaraguensi; con il Regime a propinare la gigantesca fake news del tentato golpe di Washington. Da allora, il Nicaragua si e convertito in un feroce Stato di polizia, con un’economia in ginocchio che la coppia presidenziale ha tentato di salvare negando per lungo tempo persino il contagio del Covid-19. Senza contare i ripetuti violenti attacchi a quel poco che resta di libertà stampa. Una tragedia nel silenzio della comunità internazionale per un Paese dimenticato che paradossalmente oggi può affidarsi solo agli Stati Uniti di Biden per sperare in un futuro incoraggiante.

El Salvador

In El Salvador (il “pollicino” delle Americhe) si e inaugurata l’era di Nayib Bukele, il più giovane presidente del Subcontinente latino-americano. Eletto al primo turno nel 2019, ora gode anche della maggioranza dei due terzi dell’Assemblea legislativa. A colpi di tweet ha conquistato le giovani generazioni, povere e dall’incerto futuro, azzerando il sistema bipartitico che reggeva dalla fine della cruenta guerra civile, quando gli Accordi di Pace del 1992 inaugurarono un patto di convivenza politico- istituzionale fra l’oligarchia storica di Arena e l’ex guerriglia del Frente Farabundo Marti (Fmln). Dopo quindici anni di governo della destra, negli ultimi due mandati il Paese era stato retto dal Frente, che, in minoranza in Parlamento, ha pero subito il costante boicottaggio del partito Arena sull’intento di contenere le disuguaglianze strutturali del Paese. Bukele, imprenditore di antiche origini palestinesi, nell’arco di un paio d’anni ha spazzato via tutti, riducendo la destra al 12% e l’Fmln al 6,8%. Paradosso vuole che il primo Capo di Stato millennial del Pianeta provenisse proprio dalle fila della sinistra, i cui dirigenti (seguendo pratiche piuttosto datate) decisero maldestramente di espellerlo per “intemperanze” mentre era nientemeno che sindaco della capitale San Salvador.

Il problema e che da subito Nayib Bukele ha mostrato una marcata tendenza autoritaria, che e proprio ciò che in parte gli ha permesso di crescere nei consensi. E ora pretende di governare da solo. Dal potere esecutivo, e guadagnatosi il controllo del legislativo col suo partito Nuevas Ideas, ha subito disposto la rimozione della Corte Suprema di Giustizia sostituendola con una a lui gradita. Ciò mentre si avvia a promuovere una modifica della Costituzione che gli permetta di ricandidarsi nel 2024. Dalla sua ha esercito e polizia, che aveva mobilitato nel febbraio 2020 occupando con un clamoroso atto dimostrativo il Parlamento precedente, reo di porre il veto ai suoi decreti sulla pandemia. Sara capace Bukele di rispondere alle aspettative che ha generato per la riduzione della miseria e della corruzione e per il contrasto alle maras (bande giovanili) che fanno di El Salvador uno dei Paesi piu violenti dell’America Latina? Tanto più senza l’ausilio dell’amministrazione Biden che ne critica l’atteggiamento antidemocratico, oltre all’intensificarsi delle sue relazioni con Pechino.