Tunisia

Con la caduta della Dittatura all’indomani delle proteste del 2011, la Tunisia ha intrapreso un percorso di democratizzazione che aveva spinto analisti e osservatori internazionali a definire quello tunisino l’unico caso di successo delle Primavere Arabe. Eppure, la corruzione endemica risalente ai tempi del Regime, la stagnazione e le disuguaglianze socioeconomiche, un apparato di sicurezza mal funzionante, l’impunità e l’assenza di meccanismi di giustizia transizionale rimangono ostacoli al pieno consolidamento democratico. Le misure di emergenza imposte il 25 luglio 2021 dal Presidente Kaïs Saïed hanno sospeso il Parlamento e destituito il primo Ministro Hichem Mechichi, creando una profonda incertezza sul futuro della democrazia tunisina. Tra le altre misure imposte, l’abrogazione dell’immunità dei legislatori, l’estensione del coprifuoco e il divieto di manifestazioni pubbliche. Facendo riferimento ai mesi di stallo politico e alla grave crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19, Saïed ha giustificato le sue azioni con l’Articolo 80 della Costituzione tunisina, che consente di adottare misure di emergenza in caso di minaccia imminente alle istituzioni, alla sicurezza o all’indipendenza del Paese. Da allora, il Presidente governa per decreto senza che il Parlamento svolga alcun ruolo nella vita politica. Il nuovo Governo della prima ministra Najla Bouden si è insediato a ottobre 2021, senza l’approvazione del Parlamento. L’ultimo attacco alle istituzioni tunisine è avvenuto a luglio 2022, quando in un referendum popolare la Tunisia ha approvato la nuova Costituzione proposta da Saïed che centralizzerebbe ulteriormente il potere nelle mani dell’Esecutivo, subordinando sia il sistema giudiziario che quello legislativo al Presidente. All’indomani delle misure di emergenza imposte nel 2021, la situazione nel Paese è fortemente deteriorata. Dopo la sospensione dell’immunità parlamentare, diversi legislatori e personalità politiche all’opposizione sono stati sottoposti a misure repressive, tra cui divieti di viaggio, detenzione e arresti domiciliari. La stampa affronta crescenti pressioni e intimidazioni da parte dei funzionari governativi. Il rischio di persecuzione penale è aumentato anche per blogger e utenti, soprattutto quelli con un vasto pubblico, che criticano pubblicamente il Presidente o le azioni del suo Governo. Il divieto di assembramenti pubblici, il coprifuoco esteso e le restrizioni agli spostamenti tra le città hanno invece ostacolato l’espressione del dissenso per strada. La libertà di riunione del popolo tunisino era già stata limitata dalle misure adottate per contrastare il Covid-19. Il 2021 è stato caratterizzato da un aumento della violenza della polizia che, in varie occasioni, ha usato manganelli, gas lacrimogeni e veicoli blindati contro i manifestanti. Il malcontento popolare è stato poi alimentato dalla crisi economica, esacerbata prima dal Covid-19 e poi dalle conseguenze del conflitto in Ucraina. Tra il 2021 e il 2022 la popolazione è scesa in piazza più volte per manifestare contro la mancanza di opportunità economiche, l’elevato tasso di disoccupazione, la presenza di grandi disuguaglianze economiche a livello regionale e la mancanza di riforme adeguate per affrontare questi problemi. I tassi di disoccupazione rimangono incredibilmente alti per le donne e per i giovani.