Denaro, lacrime e sangue per lo Sri Lanka

Siglato ieri a Colombo l'accordo col Fondo monetario internazionale

La crisi nello Sri Lanka continua a mordere. Secondo la Federazione internazionale della Croce e della Mezzaluna Rossa (Ficross)  si sta trasformando in una delle peggiori crisi umanitarie del Paese da decenni, con 6,7 milioni di persone – quasi un terzo della popolazione – che ora hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. 2,4 milioni di srilankesi si trovano poi in una situazione di estrema gravità per il costo vertiginoso dei beni di prima necessità. Milioni di famiglie – dice il suo ultimo aggiornamento – stanno affrontando la carenza di cibo, carburante, gas da cucina, forniture essenziali e medicinali mentre l’impatto umanitario della crisi economica continua a moltiplicarsi. Sono gli stessi dati della più recente valutazione del World Food Programme e della Fao, secondo le quali un’inflazione alimentare record del 90% rende inaccessibili anche prodotti di base come il riso con un aumento del costo medio mensile di una dieta giusta che è cresciuto del 156% dal 2018. Secondo il Wfp servono almeno 63 milioni di dollari per far fronte alla crisi alimentare dei prossimi mesi.

La crisi viene da lontano: il Covid, che ha spazzato via gli introiti del turismo, e la spirale di un debito ormai incontrollabile dovuto a prestiti bilaterali (Cina, Giappone  e India soprattutto) e all’incauta emissione di titoli del tesoro accaparrati dai Fondi internazionali con tassi di rientro insostenibili. Poi è arrivata la mazzata della guerra in Ucraina con l’aumento delle fonti energetiche tradottosi in file interminabili alle pompe di benzina.

La ricetta, alla fine, l’ha dettata ieri, dopo diversi giorni di contrattazione, il Fondo monetario internazionale (Fmi), in pessimi rapporti con la famiglia Rajapaksa, ma a cui ha dovuto ricorrere Ranil Wikremesinghe, il nuovo Presidente (e ministro delle Finanze), nominato dal precedente (fuggito all’estero) e non meno indigesto a una piazza che solo in parte è tornata a incrociare le braccia dopo le manifestazioni oceaniche che hanno costretto Gotabaya Rajapaksa alla fuga in luglio. Fondo e autorità di Colombo hanno siglato un documento “per sostenere le politiche economiche dello Sri Lanka con un accordo di 48 mesi nell’ambito dell’Extended Fund Facility (Eff) di circa 2,9 miliardi di dollari”. A quale prezzo?

In sintesi: “Aumentare le entrate fiscali per sostenere il risanamento fiscale… riforme fiscali che rendano più progressiva l’imposta sul reddito delle persone fisiche e l’ampliamento della base imponibile per l’imposta sul reddito delle società” con un avanzo primario previsto del 2,3% del Pil entro il 2025; “introduzione di prezzi basati sul recupero dei costi per carburante ed elettricità per ridurre al minimo i rischi fiscali derivanti dalle imprese statali” (i Rajapaksa avevano introdotto dei sussidi su alcuni beni tra cui il carburante); una riforma della Banca centrale, risanamento del bilancio e una politica di stabilizzazione di prezzi, ricostruzione delle riserve estere, trasparenza, lotta alla corruzione.

E, aggiunge l’accordo, scelte per “mitigare l’impatto dell’attuale crisi sui poveri e sui vulnerabili aumentando la spesa sociale e migliorando la copertura e il targeting dei programmi di ammortizzatori sociali”. Parole difficili da mettere in pratica se si vogliono davvero raggiungere gli obiettivi scritti appena sopra.

(Red/E.G.)

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