Dieci lunghi giorni di guerra

A che punto siamo col conflitto scatenato da Mosca. Un fatto è ormai chiarissimo: Putin ha sbagliato i calcoli e rischia di pagare un prezzo molto alto

di Raffaele Crocco

Emmanuel Macron, il presidente francese che tenta costantemente la mediazione, dice che l’obiettivo di Putin è ancora “prendere il controllo dell’intera Ucraina”. Cosa che appare sempre meno possibile: i primi dieci giorni di guerra d’invasione scatenata dalla Russia, sembrano raccontare difficoltà reali per l’esercito russo. Il balletto sul numero dei caduti e dei mezzi distrutti è in pieno svolgimento, con dati che passano dai 9mila soldati russi morti e centinaia di carri e sistemi d’artiglieria distrutti annunciati dal governo di Kiev, ai 500 caduti e 1.600 feriti ammessi da Mosca. Anche per gli ucraini le perdite sono ingenti e qui a morire sono anche i civili, vittime dei bombardamenti delle città. Si parla di qualche migliaio di morti, ormai.

Al netto di questo, però, la certezza è che la guerra lampo dei generali di Mosca è fallita e il prezzo politico che Putin rischia di pagare può diventare davvero molto alto. Le sanzioni stanno pesantemente attaccando la già fragilissima economia russa. Il rublo vale pochi centesimi e il sistema bancario e finanziario appare paralizzato. La popolarità di Putin rischia di crollare, inversamente alla crescita della miseria dei russi. I prossimi giorni saranno fondamentali per capire se Mosca ha le risorse per mantenere attiva a lungo la propria macchina militare, gettando nella fornace della guerra tutte le proprie risorse.

Certamente, la diffusa ostilità internazionale non gioca a favore del presidente russo. Putin è riuscito in una impresa considerata impossibile: far votare in modo praticamente unanime una risoluzione dell’Onu. Si tratta della condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. L’Assemblea dell’Onu l’ha approvata con 141 i voti a favore e solo cinque contrari: Russia, Bielorussia, Eritrea, Corea del Nord e Siria. Ci sono anche 35 astenuti, tra cui India e Cina e l’astensione di Pechino, diventato recentemente fondamentale partner commerciale e politico di Mosca, spiega bene come il consenso attorno a questa guerra sia scarso, anche tra gli amici di Putin.

Il presidente russo reagisce giocando una partita doppia. Alza i toni delle minacce all’Europa, dicendo di sentirsi minacciato “anche con armi nucleari”. E alle minacce anti europee, fa seguire l’inasprimento dei bombardamenti sulle città ucraine. Contemporaneamente, però, ha aperto un tavolo negoziale, che qualche risultato – almeno sul fronte umanitario – l’ha portato. Il secondo giorno di trattative fra delegazioni, riunite al confine fra Polonia e Bielorussia, ha avuto come risultato l’annuncio dell’apertura di corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili, garantiti da un cessate il fuoco temporaneo nelle aree interessate. Kiev spera questo significhi anche poter portare cibo e medicinali alla popolazione dei centri più colpiti dalla guerra.

Un piccolo risultato, ma consente alle trattative di proseguire. Le delegazioni si troveranno la prossima settimana, di nuovo al confine fra Bielorussia e Polonia. Putin ha chiarito che “le operazioni militari andranno avanti”. L’obiettivo di eliminare il presidente ucraino, Zelensky e sostituirlo con un governo morbido e amico continua ad essere prioritario per il Capo del Cremlino. Zelensky lo sa e ha accettato la sfida, denunciando i pericoli che lo scontro con Mosca nasconde. “Se l’Ucraina cade – ha avvertito – la Russia si prenderà i Paesi baltici e l’Europa orientale. Se noi dovessimo scomparire, sarà il turno della Lettonia, della Lituania, dell’Estonia. Fino al muro di Berlino, credetemi”. Impossibile, dicono molti osservatori. Nel dubbio, però, la Svezia ha riaperto vecchie basi militari e la Finlandia, che di invasioni russe ha già avuto esperienza, manda armi all’Ucraina e medita di entrare nella Nato.

Nella foto, una veduta del Cremlino

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