Dopo 14 mesi, Pechino è scesa in campo. Il Punto

Con la telefonata del presidente cinese al suo omologo ucraino, Xi riconosce Zelensky come interlucutore diretto, parlando di “rispetto reciproco di sovranità e integrità territoriale”. Ma, quasi certamente, non ci sarà la pace a breve

di Raffaele Crocco

Quattordici mesi e il Gigante si è mosso. Ci sono voluti 14 mesi di resistenza ucraina alla Russia per convincere Pechino a scendere davvero in campo. L’attesa telefonata fra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Zelensky c’è stata. Al di là degli effetti reali della cosa, significa che Pechino riconosce direttamente in Kiev un interlocutore nella vicenda, saltando intermediari – gli Stati Uniti – e cercando di riannodare fila che appaiono piuttosto disordinate.

Ci sarà la pace a breve? No, quasi certamente no. Ma lo scenario della diplomazia muta, diventa, finalmente reale e in una qualche misura concreto. Zelensky lo ha fatto capire con un tweet immediato, scritto subito dopo il colloquio. “Credo che questa chiamata – ha scritto -, così come la nomina dell’ambasciatore dell’Ucraina in Cina, darà un potente impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali”. Il presidente cinese ha risposto: “Il dialogo e la negoziazione sono l’unica via d’uscita praticabile. Non ci sono vincitori in una guerra nucleare. Tutte le parti interessate dovrebbero rimanere calme e sobrie, concentrarsi veramente sul futuro e sul destino di se stesse e di tutta l’umanità, e gestire e controllare congiuntamente la crisi”.

C’è una frase importante, sempre di Xi: “Il rispetto reciproco di sovranità e integrità territoriale è la base politica delle relazioni Cina-Ucraina”. La cosa sembra non essere piaciuta a Mosca, che della telefonata era informata, ma non aveva concordato nulla. Così, dal Cremlino è arrivata immediata una nota, che sottolineava come ancora fosse “Kiev a respingere ogni tentativo di pace”. Diverso il tono delle cancellerie internazionali – Parigi in testa -, che nell’azione di Pechino vedono la possibilità di aprire finalmente negoziati decenti. Alla Cina non viene riconosciuto un ruolo di reale mediatore nella crisi, ma è certamente un possibile “persuasore”: è l’unico interlocutore che può convincere Mosca a fare marcia indietro o, quanto meno, a fermarsi.

L’altro stimolo a una soluzione negoziale, per il Cremlino, potrebbe arrivare dalla situazione militare. Le forze armate russe temono l’annunciata controffensiva ucraina, potenziata dall’arrivo dei carri armati e dei sistemi d’arma inviati dagli alleati europei e dagli Stati Uniti. Così, si moltiplicano gli sforzi per completare la conquista di Bakhmut, città-chiave per prendere la regione industriale ucraina orientale del Donbass. Come già raccontato dai soldati ucraini, i russi puntano a distruggere tutti gli edifici, per impedire che si trasformino in tante fortificazioni.

L’esercito russo avrebbe anche preso il controllo dell’ultimo tratto dell’autostrada fra Bakhmut e Khromov, utilizzata da Kiev per portare i rifornimenti. L’obiettivo del Cremlino, dicono gli osservatori militari, pare essere la conquista di una larga fascia di territorio, da usare come cuscinetto nel momento della temuta offensiva ucraina. Intanto si continua morire. Secondo i dati del Governo ucraino, sarebbero almeno 10mila le vittime civili dall’inizio di questa fase della guerra. Un numero destinato a crescere rapidamente.

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