DOSSIER CANADA - LA RESISTENZA VERDE DEI NATIVI AMERICANI

Per salvare i salmoni dello Skeena

Testi di Paola Rosà, foto e video di Antonio Senter.

Il fascio di gasdotti progettati per alimentare gli impianti di liquefazione dislocati sulla costa pacifica, tra gli isolotti di Prince Rupert e il fiordo di Kitimat, si troverebbe ad attraversare le zone impervie e disabitate del bacino dello Skeena e delle montagne di Hazelton, un’area ampia quanto la Svizzera ma con appena 60mila residenti concentrati nelle cittadine lungo la Highway 16. Un’area che, tra miniere di carbone e gasdotti, è diventata un corridoio ambito dalle multinazionali e dal governo provinciale, tenuto a stringere accordi con le varie tribù dei Gitxsan First Nation.

Le interviste e le riprese sono state effettuate in Canada dal giugno all’ottobre 2016 dai due autori, che autofinanziandosi hanno percorso il tragitto dei previsti gasdotti dalla valle del Peace River all’Oceano Pacifico in British Columbia. Il progetto di documentazione della resistenza nativa proseguirà quest’anno, 2017, con altri quattro mesi di viaggio in Canada, per seguire le proteste contro il nuovo oleodotto Trans Mountain previsto dall’Alberta a Vancouver. Paola Rosà è giornalista professionista e traduttrice. Antonio Senter si occupa di design e riprese video. Insieme hanno realizzato diversi documentari girati in Canada e Stati Uniti.
Il sito: www.rosasenter.weebly.com

La gestione delle terre, la titolarità delle concessioni e la distribuzione degli introiti sono questioni ancora controverse che dipendono da un complicato intreccio di storia e geografia. Alcuni territori rientrano nella regolamentazione dei Trattati, altri sono unceded land, terra mai ceduta ai bianchi, alcune tribù traggono profitto dallo sfruttamento delle risorse, altre non si riconoscono nel sistema elettorale “dei coloni” e continuano a praticare l’ereditarietà matriarcale degli antenati. I conflitti quindi, come conferma Yvonne Lattie, Chief Gwininitxw, non solo contrappongono bianchi e nativi ma percorrono trasversalmente le comunità indigene.

Oltre a decine di cause legali che contrappongono singoli clan e la Corona, la difesa del territorio dei nativi lungo lo Skeena River è una pratica concreta di ritorno alla terra che recupera la tradizione aborigena di sentirsi “custodi” del territorio. A tre giorni di cammino a nord della Kispiox Valley, circondato da montagne abitate solo da aquile, grizzly, capre selvatiche e alci, il laghetto Maxhla Didaat ospita uno di questi presidi permanenti contro i gasdotti. Ci si arriva soltanto con l’idrovolante, e ogni volta che i Gitxsan organizzano un seminario sulle erbe mediche e la vita nella wilderness le spese sono suddivise tra i partecipanti che possono pagare e le donazioni di ambientalisti e associazioni. Anche qui l’alleanza con i settlers, i discendenti dei coloni, è un patto per salvare l’ambiente. Ma non si tratta di “ambientalismo” di chi, come ironizza Shannon McPhail della Skeena Watershed Conservation Coalition, “abbraccia gli alberi o giocherella con i cuccioli allo zoo”.

“Come uno sgabello sta in piedi solo se ci sono tutte e tre le gambe – spiega Shannon – così il nostro ambiente si regge sui tre pilastri di economia, cultura e natura”. E l’economia del bacino dello Skeena si regge sui milioni di dollari di introiti della pesca di salmoni e trote, della raccolta di funghi, della caccia, del turismo. “Ecco perché ci opponiamo ai gasdotti, non solo perché passano nelle nostre foreste disturbando le migrazioni degli animali, ma perché se va in porto l’intero progetto di esportazione del gas, gli impianti di liquefazione sulla costa distruggeranno l’habitat dei salmoni proprio nel luogo dove vanno a riprodursi”. Se il progetto della Petronas va in porto, confermano diversi studi nonché un appello di decine di scienziati del settore, saranno pochissimi i salmoni sopravvissuti che riusciranno a risalire lo Skeena River.

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