Eau-Israele contro il nemico comune: l’Iran

L'accordo tra i due Paesi mette a posto la bilancia regionale contro Teheran. Col beneplacito americano, il ridimensionamento di Russia e Turchia, la "merce di scambio" palestinese. Analisi di una nuova partita a scacchi nel Vicino Oriente

Di Raffaele Crocco

E’ una enorme partita a scacchi, questa. Con tanti giocatori attorno alla scacchiera, giocatori che però sono anche pedine. L’accordo di pace fra Israele ed Emirati Arabi Uniti arriva davvero esattamente quando doveva arrivare. La cosa più sorprendente, in fondo, è proprio questa. Quell’accordo serviva a molti e che sia reale o di facciata poco importa: oggi è lo strumento indispensabile per tentare di mettere all’angolo l’Iran nel Vicino Oriente, per abbassare le pretese neo-imperiali della Turchia e per ridare un minimo di fiato alla stanca superpotenza Usa. E che arrivi pochi giorni dopo il disastro in Libano, con il porto di Beirut distrutto, non è casuale. Vediamo:

1) Israele e Emirati Arabi hanno almeno un interesse comune: neutralizzare l’Iran. Per Israele, Teheran è l’unico avversario militarmente e culturalmente pericoloso dell’area. In più, esercita un’influenza forte e autorevole sulle politiche libanesi, finanziando Hezbollah, partito-esercito al governo a Beirut. L’alleanza con l’islam sunnita degli Emirati è quindi funzionale: per gli emiri, gli sciiti iraniani devono essere ricacciati ed eliminati ovunque si trovino. Quindi, il nemico è comune. Non dimentichiamo che Tel Aviv aveva provato ad avvicinarsi all’Arabia Saudita con le stesse motivazioni nei recenti anni di lotta al Califfato.

2) L’alleanza è, per le stesse ragioni, funzionale agli Stati Uniti. L’Iran è da sempre il nemico, anche perché alleato della Russia, che con l’islam sciita lavora da sempre. La presenza di Mosca – presenza militare – nel Vicino Oriente per le vicende siriane allarma Washington, che invece nell’area non ha più grande appeal. Un’alleanza israeliano-sunnita in chiave anti Iran a Trump piace molto. Ed è divertente che venga usata la formula “accordo di pace” per ristabilire in realtà un’egemonia di tipo militare.

3) Un accordo di questo genere, mette gli Stati Uniti abbastanza al sicuro nelle relazioni con il mondo islamico sunnita. Questo, taglia fuori la Turchia, per decenni garante pressoché unica – in qualità di alleato Nato – dei rapporti con l’islam soprattutto sunnita. La scelta dei tempi non è casuale: Ankara, con il presidente Erdogan, sta rispolverando i fasti imperiali, portando i militari in Siria e Libia, contendendo gli idrocarburi alla Grecia al largo di Cipro e investendo denari in finanziamenti ai Paesi islamici del Balcani e dell’Asia Centrale. Per farlo, flirta con la Russia di Putin, sapendo che non potrà durare per conflitto d’interessi. Una media potenza di questo genere nel Mediterraneo non piace e non serve a Washington, non piace e non serve all’Unione Europea. Rinsaldare i rapporti con il mondo arabo tramite Israele è funzionale.

4) E’ stupefacente quello che accade ai palestinesi, che non a caso sono furiosi. Una volta in più, sono stati usati come “moneta di scambio” per fare accordi altrove. Gli Emirati giurano che hanno inserito nell’intesa con Tel Aviv il fatto della rinuncia di quest’ultima alla sovranità nella West Bank. La realtà è che il governo israeliano non sarebbe mai riuscito a far passare, sulla piazza internazionale, l’annientamento o lo sgombero della Palestina dai palestinesi per farne terra israeliana. Quindi, molto più pratico fare un accordo che non costa nulla, ma suona tanto bene. Di fatto, gli Emirati si fanno garanti della situazione esistente, lontanissima da ogni possibilità di Stato palestinese entro questa generazione. Evidenti le ragioni della rabbia palestinese.

5) E’ affascinante che, misteriosamente, gli Emirati Arabi abbiano giusto all’inizio di agosto attivato la Barakah, letteralmente “benedizione divina”, una centrale nucleare formata da 4 reattori da 1.400 MW di potenza l’uno. La centrale dovrebbe contribuire a soddisfare le enormi esigenze energetiche delle città emiratine, come Dubai o Abu Dhabi. Gli scopi, dicono gli sceicchi, sono solo commerciali, ma la riconversione militare dell’impianto, sottolineano gli esperti, sarebbe rapidissima. Bene: nessuno ha protestato. Nessuno ha gridato “al pericolo” per la possibile nascita di una nuova potenza nucleare. Gli impianti iraniani, giusto per citare un caso, sono stati radiografati mille volte, sono stati e sono oggetto di trattative, colloqui, accordi e disaccordi internazionali. La centrale degli Emirati no. Giusto mentre l’accordo con Israele – potenza atomica, ricordiamolo – veniva siglato.

6) Visto tutto questo, l’esplosione di Beirut, al netto della tragedia per i troppi morti e feriti, è stata quanto mai opportuna. Il Paese è in ginocchio, senza governo e senza futuro. L’economia praticamente non esiste e gli attori – tutti – sono in crisi. Lo è anche Hezbollah, la lunga mano iraniana nella Regione. Ora la gara sarà a chi potrà aiutare il Paese a risollevarsi, guadagnandosi la gratitudine e la riconoscenza dei libanesi. Certo è, che il quadro di potere e forze in campo preesistente è morto. E Israele ha iniziato subito a giocare le proprie carte, offrendo aiuti consistenti.

Questo il quadro, questi gli attori in campo e in azione. Cambierà qualcosa nel Vicino Oriente? Sì, certo, è sicuro. Meno certo è che il cambio sia in meglio. Meno probabile è che davvero venga avviato un meccanismo di pace. Meno sicuro è che i Palestinesi migliorino la loro condizione. Insomma, è tutto da scoprire. Esattamente come in una lunga partita a scacchi.

In copertina: Van Leyden Lucas – Partita a scacchi (Berlino, Gemaeldegalerie, 1510 ca)

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