Mentre in Europa, in Medio Oriente e nell’area Indo-pacifica la guerra e le tensioni militari dominano la scena, l’America del Sud gode di una relativa calma, nella quale la crescita economica e il problema della diseguaglianza sono al centro delle politiche dei diversi governi. Con alcuni dati sorprendenti
di Maurizio Sacchi
L’economia del Venezuela dovrebbe chiudere il 2024 con un’espansione del 3%. E’ quanto stima il Fondo monetario internazionale (Fmi) nel rapporto sulle prospettive regionali in cui prevede la stessa crescita del Pil anche per il 2025. Caracas così segna una performance superiore a quella della media di America latina e Caraibi, prevista al 2,2% per il 2024 e 2025. Ciò si deve principalmente alla ripresa – seppur parziale – della produzione petrolifera, in mano per oltre la metà alle compagnie internazionali Chevron, Repsol ed Eni. Questo è stato possibile grazie a un accordo, detto “petrolio-debito”, che ha di fatto scavalcato le sanzioni contro il Venezuela, con l’approvazione degli Stati Uniti. E’ una conseguenza delle altre sanzioni, quelle contro la Russia, con l’obiettivo di aumentare le consegne di petrolio in Europa.
Eni e Repsol hanno ricevuto l’autorizzazione dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per prendere il greggio venezuelano e lavorarlo nelle raffinerie europee, e così recuperare il debito accumulato e i dividendi dalle loro joint venture nel Paese sudamericano. Come conseguenza, la stima del Fmi a fine 2024 è che l’inflazione si fermi al 60%, contro il 190% con cui aveva chiuso il 2023, Tuttavia “il Venezuela resta immerso in una profonda crisi economica, politica e umanitaria” che ha portato circa 7,8 milioni di persone (il 25% della popolazione) a lasciare il Paese dal 2014. “L’incertezza politica” a seguito delle contestate elezioni presidenziali di luglio “ha pesato negativamente sulla domanda interna, che è rimasta stagnante”, conclude.
Ma il governo del presidente Nicolás Maduro ha intensificato le sue critiche al Brasile dopo che un importante consigliere del Presidente brasiliano ha affermato che il Paese non aveva sostenuto la richiesta del Venezuela di entrare nei Brics al recente vertice in Russia. Tale decisione ha aumentato le tensioni tra li due Paesi sui risultati controversi delle elezioni presidenziali di luglio in Venezuela e sulle richieste di trasparenza da parte del Brasile, della Colombia e di altri Paesi. “Il Brasile non vuole un’espansione indefinita [dei Brics]”, ha detto ai legislatori Amorim, consigliere speciale di Lula. “Il Brasile ritiene che i suoi membri debbano essere Paesi con influenza che possano aiutare a rappresentare la regione. E il Venezuela oggi non soddisfa queste condizioni, secondo noi”. Il Ministero degli Esteri del Venezuela ha convocato l’incaricato d’affari brasiliano in Venezuela, Breno Hermann, per “esprimere il suo più fermo rifiuto delle ricorrenti dichiarazioni interventiste e maleducate dei portavoce autorizzati dal governo brasiliano”. Maduro perde così anche i pochi amici che aveva ai propri confini. Nel caso del Brasile, non è una perdita da poco.
Il Pil reale del Brasile è cresciuto del 2,9 percento nel 2023 e si prevede che crescerà del 2,8 percento nel 2024, spinto da consumi solidi, sostenuto da un solido mercato del lavoro e da trasferimenti fiscali. Si prevede che la crescita del Pil reale modererà al 2,2 percento nel 2025 e convergerà al 2,3 percento nel medio termine, riflettendo l’effetto delle riforme strutturali passate e in corso. I dati macroeconomici del Brasile rimangono solidi, con ampie riserve internazionali, basso debito estero, una banca centrale credibile e indipendente, un sistema finanziario resiliente e flessibilità del tasso di cambio. Inoltre, il Brasile ha avviato la prima fase di una riforma delle imposte indirette, che si prevede migliorerà l’ambiente imprenditoriale e stimolerà la produttività. Mentre il settore agricolo ha registrato guadagni di produttività (attraverso investimenti in innovazione, tecnologia e logistica commerciale, e incentivi governativi specifici per settore) e ha sostenuto la posizione del Brasile come terzo esportatore agricolo e alimentare al Mondo, parte di questo successo si è basato su metodi di coltivazione estensivi che minacciano importanti biomi e biodiversità. Ma è necessario che questo modello di economia cambi, e può cambiare.
Il Brasile non può contare su boom delle materie prime e maggiori input di terra e manodopera per una crescita sostenibile e l’attenuarsi delle diseguaglianze; punta invece su un modello di crescita guidato dalla produttività a basse emissioni di carbonio, guidato da un’istruzione di alta qualità e da infrastrutture moderne, tra cui il digitale, per creare più e migliori posti di lavoro. Poiché tre quarti delle emissioni di gas serra (GHG) del Brasile derivano dal cambiamento dell’uso del suolo e dall’agricoltura, fermare la deforestazione e passare a un’agricoltura a basse emissioni di carbonio è una priorità. La foresta pluviale amazzonica è ora vicina a un punto di svolta oltre il quale potrebbe non generare abbastanza pioggia per sostenere il proprio ecosistema o l’agricoltura, l’energia idroelettrica, l’approvvigionamento idrico e le industrie che hanno alimentato la crescita del Brasile.
In Cile, i dati economici non sono buoni. L’economia cilena si è allontanata dalle migliori previsioni. L’indice mensile di attività economica (Imacec) ha avuto una variazione nulla nel mese di settembre rispetto all’anno precedente e un calo dello 0,8% rispetto al mese precedente, secondo i dati forniti lunedì dalla Banca Centrale del Cile. Il risultato ha sorpreso gli analisti che si aspettavano un aumento annuo fino al 2%. Marcel, ministro delle Finanze, ha dichiarato che “la crescita che ci aspettavamo per quest’anno non sarà più possibile”, anche se per il momento non ha indicato quanto sarà il calo. “È un dato molto deludente”, ha detto. Il calo è stato influenzato principalmente da un forte ribasso nel settore minerario e industriale. In negativo anche il settore dei servizi.. Fino a poche settimane fa, il presidente Boric aveva optato per una crescita del 2,6%, al punto da chiamare “profeti di sventure” coloro che non erano d’accordo con questa previsione e sottolineare che ci sarebbe stato un rimbalzo significativo.
Ma queste valutazioni in negativo non sono accettate da tutti. Mancano i dati dell’ultimo trimestre, nel quale pare che le cose migliorino. La ministra del Lavoro, Jeannette Jara, ha insistito nel dire che “alcuni hanno sempre cercato di dare priorità ad una visione negativa riguardo ai risultati attesi per il Paese”. Ha ricordato anche che l’anno scorso si prevedeva una recessione nel 2023, cosa che non si è verificata: “E quest’anno si prospettano risultati positivi che, tra l’altro, tutti vorremmo andare ancora più in alto, ma che si verificano in un contesto in cui abbiamo recuperato e normalizzato il Paese”.
Il problema della società del Cile resta quello della diseguaglianza. Il modello neoliberista, di cui il Cile ha rappresentato il primo banco di prova, dopo il golpe del 1973 e l’avvento dei “Chicago boys”, è rimasto in vigore, anche perché blindato nella Costituzione approvata prima del ritorno alla democrazia. Fu contro quella Carta costituzionale che si accesero le proteste del 2019-2020, sfociate nell’elezione dell’Assemblea costituente. Fu però un fallimento, perché la proposta di nuova Costituzione, farraginosa e contraddittoria, fu bocciata dagli elettori, che pure avevano votato in massa a favore delle liste di sinistra. Liste che furono confermate alle presidenziali del 2021, e portarono all’elezione del giovane Gabriel Boric, il cui governo non è riuscito a intaccare il modello fortemente classista che vige in Cile, in cui il destino delle persone è determinato, come dicono i cileni da “dove nasci”, a dimostrazione che la mobilità sociale e il merito non trovano spazio in questa società. Da qui la delusione dei cittadini, specie quelli a basso reddito: delusione confermata dalle ultime amministrative di ottobre, in cui sono risultate avanti, sia pur di poco -30% contro il 34%-, le liste dell’opposizione di destra. Mancano però i ballottaggi per 11 governatori, e molti li vedono come cartina di tornasole per le elezioni presidenziali del 2025.
Nell’immagine da wikipedia, quartiere degli affari a San Paolo del Brasile