di Luciana Borsatti
Il francese Le Monde https://bit.ly/3CdeIeE si è chiesto se si tratti di una solidarietà a “geometrie variabili”. Noi potremmo andare oltre e chiederci se non si tratti di una politica dell’accoglienza “a colori”: i colori della pelle di chi fugge – diverse cronache parlano di discriminazioni subite da africani e asiatici alla frontiera tra Ucraina e Polonia – o quelli dei Paesi dove sono in corso da tempo altre, gravissime crisi umanitarie. Di fronte all’ondata di profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, per esempio, cosa succederà a chi cerca ancora rifugio dall’Afghanistan dei talebani? Forse che la guerra di Putin all’Ucraina, benché legittimamente percepito come un attacco al cuore dell’Europa, può far dimenticare le responsabilità di tutto l’Occidente per le illusioni in un futuro democratico dell’Afghanistan, lasciate germogliare per vent’anni in quel Paese fino alla caduta di Kabul nelle mani dei talebani il 15 agosto scorso?
Nei giorni successivi a quella data si accalcavano intorno all’aeroporto della capitale migliaia di afgani che avevano collaborato con le organizzazioni occidentali o con il governo di Ashraf Ghani, lui appena fuggito all’estero. Ma molti di loro, comprese centinaia di giornalisti e attivisti per i diritti umani, non sono riusciti a fuggire con i ponti aerei e ancora attendono di farlo nascondendosi in patria, o vivendo in un limbo in Iran e Pakistan dove si sono temporaneamente rifugiati. Forse che loro non hanno diritto a qualche forma di protezione internazionale? E’ giusto che la nuova crisi in Europa li respinga indietro?
Certo, i numeri della crisi ucraina fanno davvero paura. Secondo l’Unhcr https://bit.ly/3pEEwvi, dal 24 febbraio al 3 marzo sono scappati dal Paese oltre 1,2 milioni di profughi: il 53% (circa 650 mila persone) sono andati in Polonia, 144 mila in Ungheria, 110 mila in altri Paesi europei, 103 mila in Moldavia, 90 mila in Slovacchia, 58 mila in Romania, 53 mila in Russia (oltre ai 100 mila già scappati dalle due regioni contese di Donetsk e Luhansk). Ci auguriamo che la loro fuga sia breve e che presto possano tornare a casa. In molti possono inoltre per fortuna contare, in Europa, sull’ospitalità e la vicinanza di connazionali, amici e parenti.
Per i profughi afgani le circostanze, ma anche i numeri, sono molto diversi. Stiamo parlando non di afgani che fuggono dalla pur terribile crisi umanitaria che continua nel Paese – causa anche il blocco dei fondi del loro Stato nelle banche degli Usa e dell’Europa – ma di persone che per la loro professione e attività rischiano il carcere, le violenze e anche la morte dopo il ritorno dei talebani. L’Italia, che in agosto ha portavo in salvo oltre 5 mila afghani, ha promesso di dare protezione ad altri 1.200 nell’arco di due anni, tramite i “corridoi umanitari” varati dal governo il 4 novembre, ma che sono ancora fermi al palo. Il motivo? Il Ministero dell’Interno non può pagare il costo dei biglietti aerei di chi è pronto a partire da Paesi terzi come Iran e Pakistan, come previsto dal Protocollo https://bit.ly/3hGGnex firmato con varie organizzazioni della società civile: organizzazioni che già hanno predisposto, con le risorse del volontariato, i percorsi di accoglienza e inserimento nella società italiana. E ha chiesto a loro di farlo.
A darne notizia il responsabile per l’asilo e l’immigrazione dell’Arci Filippo Miraglia, dopo un incontro avuto il 4 marzo con i rappresentanti del Viminale. All’Arci il Protocollo assegnava una quota di 100 afgani, alla Caritas 300, alla Comunità di S. Egidio 200 e alla Tavola Valdese altri 200, mentre il ministero dell’Interno si sarebbe occupato di 400 persone e di coprire le spese del trasporto aereo. Ma ora le organizzazioni firmatarie dovranno firmare un “addendum” in base al quale accetteranno di coprire anche queste ultime. Insomma, una privatizzazione completa dell’accoglienza di persone che rientrerebbero in pieno nella previsione dell’articolo 10 della Costituzione: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
La notizia di questo ulteriore ritardo nella partenza dei corridoi umanitari è giunta più o meno in concomitanza con quella del via libera, in sede europea, dell’attivazione per i profughi provenienti dall’Ucraina della Direttiva 55 per la protezione temporanea varata nel 2001, mai applicata finora. Alle persone ammesse sono accordati per un anno i diritti previsti in caso di immigrazione legale: la possibilità di lavorare, di accedere al sistema scolastico pubblico per i minori e alla formazione professionale per gli adulti, di avere un alloggio adeguato, di ricevere cure mediche, assistenza sociale ed eventuali contributi al sostentamento. In realtà a Bruxelles, come è noto, non tutto è filato liscio: alla riunione dei 27 ministri dell’Interno sono riemerse le annose divisioni sulla questione migranti, con i Paesi del gruppo Visegrad e l’Austria che hanno avanzato riserve sulla proposta della Commissione di prevedere la protezione per tutti i residenti in Ucraina, compresi i non ucraini. Il compromesso prevede che per questi ultimi, se con permesso di soggiorno a lungo termine, lo Stato ospitante potrà scegliere tra la protezione temporanea europea o il regime di asilo previsto a livello nazionale – procedura dai tempi e dagli esiti molto più incerti.
L’Europa a due pesi e misure. Strabismo e respingimenti alle frontiere
Insomma, in un’Europa che sente anche i propri valori fondanti attaccati dalla Russia di Putin continuano ad esistere due pesi e due misure in tema di rispetto dei diritti umani universali. In un editoriale sulla Stampa https://bit.ly/36REeun , la senatrice Emma Bonino apprezza l’adozione delle nuove misure ma invita a non dimenticare le migliaia di rifugiati che il presidente bielorusso Lukashenko aveva portato fino al confine con la Polonia, dove erano stati accolti con gli idranti dalla polizia. “Che fine hanno fatto? – si chiede -. Erano senza scarpe, senza coperte, senza medicine, senza acqua e senza cibo. Ci sono stati bambini morti di congelamento nell’Europa del 2021. Dove sono ora? Abbiamo l’abitudine (…) di passare rapidamente da una tragedia all’altra. Nessuno ricorda chi è scappato dall’Afghanistan, dalla Siria, dalla Libia”. “L’attivazione della Direttiva 55/2001 sulla Protezione Temporanea per gli ucraini è una buona notizia, che speriamo segni l’inizio di una nuova stagione – si legge in un nota dell’Arci -. Emerge, tuttavia, uno strabismo davvero irritante. Per anni infatti i governi si sono rifiutati di usarla per proteggere altri gruppi soggetti a persecuzioni e violenze (siriani, afghani, stranieri che scappavano nel 2011 dal conflitto libico).
Ora in Italia vi sono circa 80 mila persone a carico dello Stato, ricorda ancora Miraglia, per la maggior parte ospitati nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, e solo 30 mila nella rete degli enti locali (Sai, Sistema di accoglienza e integrazione). Per un macchina dell’accoglienza come quella italiana, ancora basata a giudizio di molti su una logica emergenziale, l’impatto della crisi ucraina non sarà facile, e dipenderà dal numero effettivo degli arrivi e dalla capacità di assorbirli da parte delle reti familiari, sostenute dallo Stato. “Ma purtroppo l’Europa ha scelto l’esternalizzazione delle frontiere – ha aggiunto Miraglia – e penso anche agli afghani a tutt’oggi respinti ai confini dell’Europa”, nonostante i respingimenti di potenziali richiedenti asilo siano “illegittimi”, sottolinea, alla luce della Convenzione di Ginevra e delle stesse norme comuni europee.
Dimenticare l’Afghanistan?
E tra Afghanistan, Iran e Pakistan sono ora ancora migliaia gli afghani in attesa, dal 15 agosto, di trovare protezione internazionale anche in Italia – e migliaia i nomi nelle liste dell’Arci come delle altre organizzazioni coinvolte nei corridoi umanitari. Ma molti hanno già sponsor italiani che hanno firmato per loro lettere di invito, garantendo per le spese di alloggio, mantenimento, cure mediche e percorsi di integrazione. Lettere che giacciono per mesi negli uffici del ministero degli Esteri, in attesa anche del nulla osta del ministero dell’Interno.
E ora la guerra in Ucraina permetterà forse all’Italia di dimenticare l’Afghanistan e i suoi obblighi verso chi, dopo la disastrosa ritirata delle truppe occidentali di agosto, non ha altra scelta che fuggire? Anche l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Agsi) dice no. Dopo aver ottenuto dal Tribunale di Roma un’ordinanza https://bit.ly/3vFDkMa che chiedeva al ministero degli Esteri il rilascio di visti umanitari per due giornalisti in pericolo in Afghanistan, l’associazione ha visto concludersi positivamente quella vicenda con l’arrivo a Milano dei due – accolti da uno sponsor – grazie a due Visti a territorialità limitata (Vtl) previsti dal Codice dei visti Shengen per una serie di casi, tra cui quelli umanitari. Un precedente importante – secondo l’avvocata Nazzarena Zorzella – che può dare una prospettiva di soluzione anche per altri. Insomma, se in Italia si ha la memoria corta e ogni emergenza cancella l’altra, la battaglia per i diritti umani e per il rispetto del diritto internazionali si può fare anche in tribunale.