Enigma coreano

Una data non è ancora stata fissata ma a maggio Donald Trump e Kim Jong-un dovrebbero incontrarsi e disinnescare una bomba ad orologeria che è stata innescata molti anni fa. Difficile fare previsioni ma è importante fissare il quadro di riferimento e la cornice storica. Un’analisi della situazione alla vigilia di un incontro storico

Rosella Idéo

La tensione che si crea con la personalizzazione dello scontro verbale fra il Presidente Trump e il leader Kim Jong-un fa temere che basterebbe poco, anche un incidente o l’errata percezione di un attacco convenzionale dall’una o dall’altra parte per scatenare una guerra.
I precedenti non promettono molto.
Ignorando le risoluzioni e le sanzioni sempre più pesanti dell’Onu, il regime di Kim Jong-un ha continuato ad aumentare e perfezionare il suo arsenale nucleare e missilistico. In luglio e in novembre 2017 ha testato, fra gli altri, due ICBM (Intercontinental Balistic Missiles) con una gittata tale da poter colpire le città del continente americano; in settembre ha compiuto il test sotterraneo di una bomba termonucleare 17 volte più potente di quella di Hiroshima. E’ stata una sorpresa perché le agenzie di intelligence americane avevano previsto che Pyongyang avrebbe potuto avere ICBM affidabili tra il 2020-2022.
Il presidente americano dal canto suo ha liquidato i tentativi diplomatici del segretario di Stato, Rex Tillerson, come inutili perdite di tempo. Trump, deciso a smarcarsi dai suoi predecessori, minaccia in settembre all’ONU di “distruggere totalmente” la Corea del Nord (25 milioni di abitanti). Vuole lo smantellamento unilaterale dell’arsenale atomico della RPDC.

Un popolo due Stati

Lo spettro di una nuova guerra di Corea è spaventoso e rammenta una ferita ancora aperta: la guerra di Corea del 1950-1953. In sintesi, la spartizione della penisola tra americani e sovietici al 38° parallelo (nel 1945) e la guerra fredda, hanno creato, contro il volere di tutti i coreani, due Stati antitetici che, dalla loro fondazione nel 1948, si sono combattuti e odiati. Finita la guerra, con la firma di un armistizio cui non è mai seguita la pace, il 38° parallelo è diventato un muro impenetrabile. La linea “demilitarizzata”, profonda 4 Km, è in realtà il confine più militarizzato del mondo. Dopo l’intervento armato dell’Onu a guida americana (1950) che ha respinto l’avanzata di Pyongyang al Sud con ogni mezzo (napalm compreso) la RPDC ha sviluppato una mentalità da assedio permanente e, dalla fine degli anni ’80, il possesso di una forza di dissuasione nucleare si è consolidato come elemento costitutivo e identitario dello Stato stesso. La Corea del Sud (RdC) dopo aver subito regimi altrettanto brutali di quello del fondatore della dinastia rossa, Kim Il-song, è riuscita a liberarsi delle dittature (appoggiate dagli Stati Uniti in funzione anticomunista) solo nel 1987 con la promulgazione di una nuova Costituzione. Con un passaggio morbido alla democrazia nel 1992, ha eletto il primo Presidente civile della storia della RdC. Da allora nella Corea democratica si sono alternati Governi conservatori e progressisti. I primi sono rimasti anticomunisti con un odio viscerale verso i nemici del Nord; i secondi, fatte salve le misure di sicurezza contro le provocazioni armate dei nordcoreani, sono stati aperti al dialogo, alla distensione e a una generosa cooperazione economica (1998-2008).
Il Presidente attuale Moon Jae-in, è un progressista che ha piena conoscenza dei problemi vissuti dai suoi predecessori con gli Stati Uniti di George W. Bush da un lato e le difficoltà di dialogo con la RPDC dall’altro. Moon entra in carica subito dopo la destituzione della Presidente Park Geun-hie nel maggio del 2017 e pochi mesi dopo l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Il contesto nazionale e internazionale è ancora più pericoloso di quello in cui hanno operato i suoi predecessori progressisti. Moon vuole riaprire, gestendolo come gli compete, il dialogo intercoreano e frenare Pyongyang senza creare fratture con Washington la cui interferenza pare eccedere persino quella dell’amministrazione Bush, che boicottò il riavvicinamento intercoreano (2002-2003). Non può prescindere dall’alleanza militare con gli Stati Uniti che, con 28.500 soldati nella RdC (e circa 40.000 nel vicino Giappone), lo scudo nucleare e la Settima Flotta proteggono il Paese da qualsiasi velleità d’attacco dei vicini a cominciare dalla RPDC, ma rivendica il suo ruolo di attore principale negli affari coreani. Né può fare a meno di mantenere rapporti di amicizia con Pechino, che incombe sulla penisola con la sua massa critica e la ritrovata e asserita centralità in Asia Orientale.

Il ruolo di Pechino e Mosca

Pechino però non controlla Kim, come Trump sembra credere, né riesce a ipotizzare quale sia la strategia (se esiste) del Presidente Usa. Teme l’intervento “limitato” ipotizzato da Trump e un eventuale cambio di regime nella RPDC che potrebbe portare un governo ostile e comunque sotto l’egida americana nel cortile di casa; armi di distruzioni di massa senza controllo perché sparse e nascoste in tutto il territorio, tunnel compresi; l’afflusso di rifugiati che premerebbe alle sue frontiere Settentrionali. Del resto Xi Jingping ha assunto una posizione più dura con Pyongyang aderendo a tutte le sanzioni Onu che stanno strangolando la già piccola economia nordcoreana, ma non vuole mettere all’angolo il regime. E’ la stessa posizione di Putin che ha appoggiato la proposta di buon senso di Xi nota col nome di freeze-for-freeze: la sospensione dei test missilistici e nucleari della RPDC e, in parallelo, la sospensione delle esercitazioni militari congiunte Usa/RdC (con il relativo dispiegamento di un apparato bellico massiccio) che Pyongyang ritiene siano le prove generali per un’invasione. Una volta acclarato che la RPDC è una potenza nucleare, Kim Jong-un ufficializza, nel discorso di Capodanno 2018, la sua adesione all’invito di Moon – che, fin dalla sua elezione, ha cercato di sbloccare il dialogo intercoreano interrotto da un biennio – e manda in febbraio i suoi atleti alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang. Per dimostrare la serietà delle sue intenzioni nei confronti di Seoul, ha inviato la sorella, Kim Yo-jong, che si conferma il membro più potente dell’elite per la sua stretta vicinanza al leader nordcoreano. Yo-jong, primo membro della dinastia a mettere piede al Sud dopo la guerra di di 65 anni fa, é latrice di una lettera di invito del fratello per un summit a Pyongyang con il Presidente del Sud, da tenersi il più presto possibile. Moon, ben conscio dell’inconciliabilità delle posizioni dei due antagonisti, si è ritagliato il ruolo di mediatore. Ha ottenuto da Trump la sospensione delle esercitazioni militari congiunte per la durata dei giochi e sta cercando di ottenere il prolungamento della sospensione fino a che dureranno i colloqui intercoreani. Sta insistendo con Pyongyang perché smussi il suo niet alla possibilità di privarsi del suo scudo nucleare, un obiettivo non ipotizzabile a breve termine. Si tratta di una tregua accettata obtorto collo dalla Casa Bianca che a questo punto rilancia con i colloqui diretti che dovrebbero tenersi nel prossimo maggio.

La guerra che i coreani non vogliono

Kim e i dirigenti nordcoreani non sono irrazionali ma sono pronti a prendere dei rischi calcolati per trattare, da un piano di forza, con Washington. Non vogliono attaccare gli Stati Uniti perché, come hanno dichiarato, non hanno tendenze suicide. Vogliono il riconoscimento diplomatico, la stipulazione di un trattato di pace e, infine, entrare a pieno titolo nel club nucleare. La RPDC non abbandonerà mai il suo progetto nucleare perché diventerebbe vulnerabile a un attacco esterno, come l’Iraq e la Libia. Altro fattore che Washington deve contemplare: un attacco preventivo “limitato” americano legittimerebbe una ritorsione di Pyongyang. Seoul è a una cinquantina di chilometri dalle batterie della RPDC e potrebbe essere distrutta nel giro di mezz’ora. Senza bisogno dell’atomica. Non aiuta l’inasprimento dei rapporti degli Stati Uniti con la Cina di Xi Jinping (sempre più potente e solo al comando) né con la Russia di Putin, vicino alla rielezione. Moon e Kim Jong-un sanno che, finita la tregua olimpica il 18 marzo con la conclusione delle paralimpiadi, il quadro geopolitico attorno alla penisola coreana può diventare ancora più complesso e pericoloso e le sanzioni americane sul regime del Nord ancora più stringenti. Per questo hanno giocato di sponda accelerando tempi e modalità del dialogo intercoreano. Con una mossa a sorpresa Kim Jong-un ha dichiarato personalmente alla delegazione di alto livello inviata da Seoul di essere pronto a iniziare i negoziati con Washington sull’abbandono dei suoi armamenti nucleari in cambio di garanzie di sicurezza e della normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi, astenendosi dal compiere test nucleari e missilistici per la durata dei colloqui. Secondo colpo di scena ad effetto simbolico: Moon e Kim terranno il terzo vertice intercoreano a fine aprile a Panmunjon, dove è stata firmata la tregua del 1953 e dove dovrebbe un giorno essere firmata la pace. La palla passa nel campo di Donald Trump.

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