Estonia, la terra che brucia
Testo e foto di Renato Viviani


“I combustibili fossili non sono l’unico motore del cambiamento climatico, ci sarebbero anche l’agricoltura industriale e la deforestazione, però sono il più grosso. E la cosa speciale dei combustibili fossili è che sono intrinsecamente sporchi e tossici…” Naomi Klein

Estonia, luglio, la temperatura di giorno è sui venti gradi, la torrida estate italiana sembra davvero lontana. Il cielo spesso è coperto, a volte un po’ di vento, a volte un po’ di pioggia e sole con moderazione. Percorro la E20 da Tallinn verso Narva, direzione nord est, verso il confine con la Russia. Il traffico è scarso, la campagna piatta, poche case, ogni tanto foreste di abeti scuri. Poco più di un’ora di viaggio e qualcosa nel paesaggio cambia: iniziano ad apparire in lontananza delle collinette grigio scuro e poi delle ciminiere. Capisco che sto per arrivare. Sono nella zona di estrazione e raffinazione dello scisto bituminoso. Questa pietra dal nome buffo ha reso l’Estonia un paese tra i più inquinati e inquinanti del mondo e ha reso la regione di Ida Virumaa una zona di sacrificio. Qui la popolazione, a stragrande maggioranza russofona, convive con l’inquinamento, con un’elevata concentrazione di sostanze tossiche e con una possibilità di contrarre malattie, anche gravi, più alta che altrove. In questo modo, però, l’Estonia ha una risorsa che le consente di evitare la dipendenza dalla Russia: il petrolio di scisto.
La produzione di energia da petrolio di scisto genera come sottoprodotti da una parte il doppio di emissioni di anidride carbonica rispetto ad altre fonti fossili, da qui la necessità per l’Estonia di comprare e acquisire crediti aggiuntivi di carbonio, dall’altra produce scorie, cioè le ceneri prodotte dalla combustione degli scisti. Una tonnellata di scisto produce 450 chili di scorie. L’Estonia estrae ogni anno oltre 16 milioni di tonnellate di scisto e ne brucia la maggior parte nelle sue centrali. A conti fatti circa sette milioni di tonnellate di scorie si accumulano ogni anno. Questo spiega l’origine di quelle strane colline che punteggiano il piatto territorio di questa parte di Europa.



Un cartello sulla strada indica la località di Kivioli. Pioviggina. Dopo un fitto bosco appare una grande miniera a cielo aperto. È la raffineria di Kivioli, la KKT OIL di proprietà di Alexela, una società privata estone che detiene poco più de 10% della produzione nazionale. Il sito estrattivo è molto grande. Qui il sottosuolo è ricchissimo di scisto, fin quasi in superficie e ogni anno ne vengono estratti più 1,5 milioni di tonnellate. È questa la parte di Estonia dove ci sono le colline di cenere più alte, alcune arrivano fino a 170 metri sul livello del mare. Proseguo girando intorno a diverse collinette e, tra camion e condotte sopraelevate, arrivo dall’altro lato del sito. Qui la grande sorpresa: un pannello stradale annuncia che sono arrivato al Parco Avventura di Kivioli. Angelina, una giovane addetta all’impianto di risalita, mi accoglie con un sorriso cortese. È una ragazza di lingua russa “Da dove vieni?” mi chiede curiosa, attivando il traduttore russo-italiano del suo cellulare. Mi indica il grande pannello nell’atrio con una foto aerea dell’area, prima di iniziare a parlare.

Angelina mi racconta che il parco è attivo dal 2013, che è molto frequentato e attira famiglie da tutta l’Estonia. C’è un’atmosfera di normalità quasi disarmante. Ci avviciniamo alla base della pista da sci, lunga 700 metri, che scende da una collina alta novanta metri e formata da più di sei milioni di tonnellate di scorie industriali.
“È strano, vero?” dice utilizzando il traduttore, “Una pista da sci sulle ceneri di una miniera. Ma è bello vedere la gente divertirsi qui. Noi cerchiamo di trarre il meglio da quello che abbiamo.” Il suo sguardo si perde per un attimo sulla collina ricoperta da un rado pratino, mentre intorno a noi bambini ridono sulle piste da snowtubing e motori di motocross ruggiscono in lontananza.
Le sue parole esprimono l’assurdo e il meraviglioso, la consapevolezza di vivere in un luogo segnato dall’estrazione mineraria e la speranza che, in qualche modo, quella montagna di scorie possa continuare a dare qualcosa di buono. “Veniamo qui ogni giorno,” dice Angelina mentre uno snowboarder si lancia giù per la collina, “e a volte dimentichiamo persino cosa c’è sotto.”

Contigua all’impianto industriale c’è la cittadina di Kivioli, il cui nome in estone vuol dire ‘roccia che brucia’. Presenta la tipica edilizia sovietica con gli anonimi blocchi residenziali, le famose “kruschevke”, palazzi a cinque o nove piani, ormai scoloriti dal tempo. Sono abitazioni modeste, costruite per ospitare i lavoratori delle miniere ma sono circondate da ampi spazi verdi. Per le strade pochissime persone la sola animazione la trovo attorno ai supermarket e vicino ad un negozio di alcolici. Incontro Olga mentre passeggia tra le strade deserte. Il cielo, coperto di nuvole basse, sembra riflettere l’umore di una città che pare aver perso la sua identità. È una donna dal volto segnato dal tempo e dalla fatica, mi racconta di aver lavorato nelle miniere di scisto per oltre vent’anni. “Era un lavoro duro,” dice, mentre si accende una sigaretta, “ma nessuna ci ha parlato delle conseguenze di quel lavoro, delle malattie e dell’inquinamento.” Le sue parole risuonano nel silenzio della strada vuota. La sua voce è bassa, come se ogni parola portasse con sé il peso di una vita di sacrifici e delusioni. “Qui, a Kivioli, è difficile trovare un senso di comunità,” continua Olga, guardando le finestre dei palazzi che sembrano occhi vuoti e spenti. “Qui ci si sente abbandonati. C’è una sola prospettiva, la miniera.” Mi parla di un tempo in cui le strade erano animate dalle voci dei minatori e delle loro famiglie, di un passato che, nonostante le difficoltà, aveva una certa vitalità. Oggi, invece, Kivioli è un luogo di memorie svanite, un paese dove il presente sembra sospeso e il futuro fa paura. Mentre ci allontaniamo dal quartiere, Olga getta un ultimo sguardo alle case. “È triste vedere come tutto questo stia scomparendo,” dice, con un tono di rassegnazione. “Ma questa è la nostra vita e questa è la nostra terra e non possiamo fare altro che andare avanti, anche se Tallinn è vicina da qui sembra lontanissima.” Poi, con un cenno della testa, mi saluta e riprende la sua passeggiata solitaria.

Dopo una trentina di chilometri trovo il sito industriale di Kohtla-Jarve. Lascio la strada principale poco prima di entrare in paese, percorro parecchi chilometri, passano molti camion. A fianco della strada corrono grandi tubature, sono condotte che portano le polveri scarto di lavorazione alle collinette, a fianco della strada c’è anche una pista ciclabile. Dalle molte ciminiere esce fumo grigio. Sulla sinistra appare una chiesa con le classiche tre cupole a cipolla verdi, è la chiesa di San Giovanni. Poco più avanti sulla destra ci sono dei grandi caseggiati, sembrano uffici, poco oltre una ferrovia, delle persone passeggiano sulla pista ciclabile che attraversa un grande prato, sembra un parco, tutto e verde e ben curato. La VKG Oil, del gruppo Viru Keemia Grupp, il più grande produttore di petrolio di scisto bituminoso nel mondo, è la proprietaria di questo sito. Kohtla-Jarve è un grosso centro dalle solite caratteristiche sovietiche, grandi caseggiati, tanto verde attorno, pochissimi persone in giro, il punto più animato è il distributore di benzina e il suo piccolo bar.

Ad Auvere, ormai a pochi chilometri da Narva c’è il sito di Enefit Power, l’altro gigante estrattivo estone. Anche qui il paesaggio è dominato dalle ciminiere e dagli stabilimenti industriali. Ai lati della strada vedo lunghi canali pieni di acqua, sopra di questi corrono lunghe condotte sopraelevate che trasportano in cima alle colline le ceneri delle fornaci miscelate ad acqua. Le ceneri sedimentano in alto, formando le montagnole, mentre le acque scorrono giù a formare lagune altamente alcaline e tossiche.



Auvere è famosa per i suoi laghi blu che sembrano un angolo di paradiso terrestre. Siamo in luglio, è una giornata di sole tiepido che illumina la superficie delle acque che hanno un colore azzurro turchese, quasi surreale. Tuttavia, questa bellezza nasconde un lato oscuro: i laghi sono in realtà serbatoi tossici, frutto degli scarichi minerari derivanti dall’estrazione dello scisto. Sono diventati una sorta di attrazione locale, noti come “Blu Lake”, e attirano ancora persone ignare o incuranti della loro pericolosità. Incontro Koire, è una signora estone di Narva, che passeggia tranquillamente lungo il bordo del lago insieme alla figlia. La donna si ferma di tanto in tanto per scattare foto, affascinata dal colore ipnotico dell’acqua in contrasto con il paesaggio circostante, segnato da colline brulle nerastre e con poche macchie di vegetazione. Koire racconta in inglese, che da piccola veniva qui con i genitori e così ha fatto lei con la figlia. Dice che ha saputo solo recentemente dell’inquinamento ma non riesce a smettere di venire. “Sono cresciuta con questi laghi”, dice con una punta di malinconia nella voce, “e sebbene io sappia che sono tossici, non riesco a vedere altro che la bellezza che ho sempre conosciuto”.
Il cielo sopra Auvere si annuvola, cumuli grigi si addensano all’orizzonte, dando un tocco di drammaticità all’atmosfera. Il lago è un miraggio tra il verde delle piante che, nonostante la patina biancastra e tossica nella quale affondano le radici, sembrano aggrapparsi ostinatamente alla vita.
In lontananza, le ciminiere fumanti di una centrale di scisto sembrano vegliare su questo paesaggio contaminato, un monito perenne degli effetti devastanti dell’attività mineraria sull’ambiente. Koire si ferma e guarda la figlia, che corre lungo la riva incurante del pericolo invisibile. “Mi dispiace che debba crescere vedendo tutto questo”, riflette, “ma è anche un insegnamento su ciò che non dobbiamo fare alla nostra terra”. Nonostante tutto, per la gente del posto, le passeggiate ad Auvere rimangono un rituale.
Un terzo dei 12 terawatt di energia elettrica prodotta annualmente in Estonia è esportata, inoltre vengono esportati ogni anno anche 1,2 milioni di barili di gasolio e 40 milioni di metri cubi di gas. La sua economia energetica si fonda sull’estrazione e lavorazione di questo combustibile fossile, noto per il forte impatto ambientale. La gestione dei rifiuti e delle emissioni legate a tale industria colloca l’Estonia al primo posto tra i paesi dell’Unione Europea per rifiuti prodotti pro capite. Nonostante i ripetuti inviti da parte dell’UE a intraprendere una transizione energetica più sostenibile, gli inviti sono rimasti inascoltati.


La storia del reportage
Le foto sono state scattate da Renato Viviani nel luglio 2022