Etiopia: dietro il golpe fallito

Sventato il colpo di Stato restano da analizzare le motivazioni. Tra queste le rivendicazioni degli Ahmara e le riforme del primo ministro Abiy Ahmed. Una panoramica

Un’emergenza che pare rientrata ma che fa riflettere sulla situazione di un Paese che dal 2018 stava tentando la via delle riforme e della Pace. Il golpe militare in Etiopia è fallito ma le motivazioni restano da indagare. Una pista accreditata potrebbe essere quella del risentimento di una parte della popolazione amhara, centro pulsante del Paese. Gli Ahmara hanno, praticamente da sempre, fornito il personale politico e amministrativo alla nazione: la lingua ufficiale è infatti l’amarico. Con l’arrivo al potere, circa trent’anni fa, della comunità del Nord della nazione, gli Amhara hanno cominciato ad essere emarginati. Per questo motivo si sono creati gruppi nazionalisti, alcuni con istanze separatiste.

Il premier Abiy Ahmed è arrivato al potere nel 2018 con un’alleanza tra i politici dei due grandi blocchi amhara e oromo. Il primo ministro appartiene infatti alla comunità oromo, uno dei più grandi gruppi presenti in Etiopia (il 32 per cento della popolazione) e, da sempre, tra i più emarginati ed esclusi. L’obiettivo era quello di riappacificare le due etnie, facendo emergere per la prima volta anche gli oromo. In questi modo però ha scontentato quella parte di amhara che puntava ad un ruolo ancora più preminente.

Durante il golpe è stato ucciso il capo di stato maggiore dell’esercito, generale Seare Mekonnen, il generale Gezai Abera, e il governatore della regione Amhara, Ambachew Mekonnen. Secondo il governo gli attacchi sono collegati e sono stati guidati dal generale Asamnew Tsige, ucciso questa mattina dalla polizia del Paese, nella periferia di Bahir Dar, la capitale dello stato di Amhara. Tsige era già stato riconosciuto colpevole di un complotto contro il governo nazionale nel 2008 e condannato all’ergastolo. Era stato rilasciato nel 2018 a seguita di un’amnistia concessa dal primo ministro Abiy.

Secondo un’analisi di International Crisis Group, poco prima del golpe, il primo ministro etiope era pronto a sostituire il generale Tsige, accusato di sovvertire l’ordine nazionale con i suoi intenti indipendentisti. La congiura di sabato 22 giugno verso il primo ministro e il suo governo non è comunque la prima. Per la terza volta in 14 mesi Abiy Ahmed, è stato vittima di trame di palazzo o attentati. Il primo era avvenuto subito dopo il suo insediamento ad Addis Abeba, quando una granata era stata lanciata contro il palco in cui stava tenendo un comizio elettorale. Il secondo tentativo risale ad ottobre 2018, quando alcuni militari avevano marciato verso il Palazzo presidenziale in quella che sembrava una richiesta di un aumento salariale ma che si trasformò in un tentato omicidio.

Oltre alle ostilità degli ahmara ad essere sotto l’occhio del ciclone sono anche le riforme avviate dal Primo Ministro e l’accordo di Pace raggiunto nel luglio 2018 tra Etiopia ed Eritrea  che ha messo fine a vent’anni di ostilità. Appena arrivato al potere Abiy Ahmed ha messo fine allo stato di emergenza, ha proposto riforme economiche e sociali, fatto liberare centinaia di prigionieri politici e denunciato l’uso della tortura da parte dei servizi di sicurezza governativi. Inoltre ha dichiarato la fine delle rivendicazioni territoriali su Badme, elemento fondamentale per iniziare (e concludere) l’accordo di pace.  Dopo la firma Etiopia ed Eritrea hanno: ripristinato le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali, aperto le frontiere al passaggio non solo dei beni ma anche delle persone, riattivato le linee telefoniche che connettono i due paesi e i voli dell’Ethiopian Airlines per Asmara. Tra le ‘riforme’ c’è poi da segnalare la legge, approvata, all’inizio del 2019, che ha permesso al milione di rifugiati di varie nazionalità che vivono nei circa venti campi profughi sul proprio territorio, di lavorare fuori dai campi, di frequentare scuole regolari, lavorare, aprire conti in banca, avere la patente. La figura di Abiy Ahmed è quindi considerata centrale non solo per il proprio Paese ma anche per la tenuta della Pace tra i due Paesi. Secondo gli osservatori, infatti, la Pace è a lui strettamente legata e le condizioni potrebbero mutare se ci fosse un cambio di potere.

Ma non è tutto oro quello che luccica. Nel mese di giugno, infatti, si è diffusa preoccupazione per il rinvio delle elezioni del 2020, le prime sotto il primo ministro riformista. Il censimento necessario per il voto è già stato rinviato due volte. Il presidente del comitato elettorale, Birtukan Mideksa, ha ammesso che i preparativi sono in ritardo e difficilmente si potranno tenere le operazioni di voto a maggio 2020.

I conflitti nel Paese si sono intensificati nel corso del 2019. Tra le difficoltà dell’Etiopia c’è infatti da ricordare che si tratta di un Paese composto da 80 gruppi etnici per 102 milioni di abitanti: il secondo più popoloso in Africa dopo la Nigeria.  Gli scontri tra le comunità hanno negli anni causato tre milioni di sfollati interni. Ultimamente le rivendicazioni arrivano, oltre che dagli ahmara, anche dal Fronte Popolare di Liberazione del Tigré, un partito politico contrario alla cessione del villaggio di Badme e penalizzato dall’arrivo al potere del duo etnico oromo-ahmara.

(Red/Al.Pi.)

*In copertina il Primo Ministro Abiy Ahmed

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