Fermare il piano per fermare la guerra

Quello che si sta per verificare "è un pugnale che viene piantato nel petto del diritto internazionale e nella pancia del diritto all’esistenza dei popoli, di ogni popolo". L'editoriale

di Raffaele Crocco

La risposta, a medio termine, la potrebbero dare le mamme israeliane: hanno davvero voglia di vedere morire i loro figli a Hebron, Ramallah, Jenin? Perché questo accadrà se domani – 1 luglio 2020 – il premier israeliano Netanyauh darà corso all’annessione coatta di parte della Cisgiordania.

Ci siamo, il momento annunciato con il piano di Trump per Israele e Palestina– non chiamiamolo piano di pace, per favore – è arrivato. Idea lineare quella del presidente Usa, coerente con la visione del leader israeliano: far sparire il problema palestinese, facendo sparire i palestinesi. Difficile immaginare che i palestinesi accettino senza battere colpo e illusorio pensare – come sta facendo parte della stampa internazionale, anche italiana – che in fondo, il piano che verrà attuato sia “depotenziato” rispetto all’iniziale e non faccia altro che mettere sotto legge e bandiera israeliana aree del territorio palestinese – Maalè Adumim, Gush Etzion o Ariel – che sono storicamente occupate dai coloni.

E’ terribile quello che sta accadendo, semplicemente terribile. E’ un pugnale che viene piantato nel petto del diritto internazionale e nella pancia del diritto all’esistenza dei popoli, di ogni popolo. Il piano Trump, voluto da Netanyauh e benedetto ora dal nuovo governo israeliano, quindi anche dal partito Blu Bianco di Gantz, di fatto uccide l’idea che possa nascere uno Stato di Palestina nei territori che la Storia, le risoluzioni dell’Onu e i trattati di Pace aveva loro assegnati. Facciamo attenzione, perché pare lo si dimentichi: il territorio di Palestina è dal 1948 in parte occupato militarmente, in parte invaso quotidianamente dall’estendersi delle cosiddette colonie, che penetrano e frantumano l’unità territoriale palestinese.

Questo perché? Per consentire a Israele una legittima difesa della propria esistenza? No, quella fase si è conclusa alla fine degli anni’90, quando la gran parte dei Paesi musulmani che avevano combattuto contro Tel Aviv a partire dal 1948 hanno accettato l’idea e la sostanza dell’esistenza dello Stato di Israele, siglando accordi di pace.

Per potersi difendere dagli attacchi terroristici palestinesi? Improbabile: con un’ Autorità palestinese forte e rappresentativa – guidata da Yasser Arafat – Tel Aviv aveva firmato nel 1993 un’accordo di pace a Oslo, con il premier israeliano Rabin, che sanciva e stabiliva l’esistenza di “due popoli e due stati”. A quel punto, se le cose fossero andate avanti, sarebbero stati i palestinesi stessi e la pace raggiunta a garantire la sicurezza dei cittadini israeliani. Invece, l’assassinio di Rabin nel 1995 per mano di un israeliano ultra ortodosso, ha interrotto tutto.

Non è più questione di sopravvivenza, quindi. Israele non è in discussione, se non nei discorsi esasperanti e esaltati di pochi o di qualche Paese – leggi Iran – che ritira fuori la cosa nei momenti di tensione internazionale. La politica di annessione dei territori palestinesi e l’dea di non far mai nascere uno Stato di Palestina nasce da una precisa visione del mondo, diventata maggioritaria nella politica israeliana con l’affluire – a partire dagli anni ’90 – di un maggior numero di ebrei ortodossi dell’Europa dell’Est in Israele. E’ lì – come in ogni forma di oltranzismo e integralismo politico o religioso – che si annidano il pericolo e l’ingiustizia.

L’annessione voluta dal governo israeliano è la fotografia di una voglia di espansione che nasce dall’interpretazione della tradizione. E’ la voglia di ricreare la Grande Israele biblica, come patria del “popolo eletto”. Non è un caso che, negli anni, la voglia di espansione israeliana sia andata di pari passo con la trasformazione di Israele in un Stato confessionale, in cui si diventa cittadini solo se si è ebrei: gli arabi israeliani, che pur ci sono, vivono una condizione di “cittadinanza subalterna”.

Ora, tutto questo rischia i oltrepassare il limite. I palestinesi hanno il sacrosanto diritto di esistere, esattamente come gli israeliani. Il loro diritto – lo ripeto – è stabilito dalla Storia, dal diritto all’autodeterminazione e dagli accordi internazionali. Da domani, il loro diritto alla difesa del territorio li porterà alla guerra, magari non subito, ma inevitabile nel tempo.

Il risultato saranno altri giovani soldati israeliani morti per difendere una politica aggressiva, ingiusta, di annessione. Saranno altri giovani palestinesi uccisi mentre difendono il loro diritto ad esistere e a vivere non da prigionieri nella loro terra. Saranno centinaia di innocenti, di entrambe le parti, morti solo per il fatto di trovarsi nel posto sbagliato, nel momento meno adatto. Saranno altre ingiustizie e altre inutili discussioni attorno alle “opportunità della geopolitica e all’evidenza delle questioni internazionali”. Fermare quel piano – perché assurdo e ingiusto – sarebbe l’unica cosa intelligente da fare. L’unica cosa giusta. Non farlo, non fermarlo, vuol dire assumerci tutti la responsabilità della guerra.

Tags:

Ads

You May Also Like

Le vittime prima di tutto

Una riflessione sul conflitto infinito che in questi giorni occupa le cronache mediorientali scatenato dagli sfratti a  Gerusalemme

477 giorni dall’invasione dell’Ucraina. Il punto

Il senso del tempo si perde in questa guerra che non ha vincitori ma solo vinti. Il costo dell'offensiva di Kiev

di Raffaele Crocco Quale giorno è? Il calendario dice il numero 477 dall’invasione russa, ...

Il Mondo è cambiato. In sole tre mosse

Ritiro dall'Afghanistan, esercito europeo, Aukus. L'editoriale del direttore dell'Atlante

di Raffaele Crocco Le notizie di queste ore ci dicono una cosa: il Mondo ...