Filippine: l’Onu indaga sulla “Guerra alla droga”

Il presidente Rodrigo Duterte non ci sta. E  guarda a Pechino

L’organizzazione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha disposto un’indagine sulla violenta guerra alla droga del presidente Rodrigo Duterte delle Filippine, tra accuse di uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate e crimini contro l’umanità. Una risoluzione adottata il 12 luglio dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, approvata con una maggioranza di soli quattro voti, ha autorizzato la responsabile dei diritti umani delle Nazioni unite, Michelle Bachelet, ad esaminare le prove su migliaia di morti per mano della polizia e dei cosiddetti “squadroni della morte”. Il rapporto sarà presentato tra un anno.

Il bilancio ufficiale delle vittime della guerra alla droga di Duterte, che è stata la politica di firma della sua presidenza da quando è stato eletto nel 2016, si attesta attualmente a circa 5.300. Tuttavia, le Ong impegnate sul fronte dei diritti umani nelle Filippine stima che la cifra reale sia compresa tra 12.000 e 20.000, principalmente per i poveri urbani. Amnesty international ha pubblicato un rapporto, in cui si afferma che Duterte sta conducendo una “impresa di assassini su larga scala” e dovrebbe essere indagata dall’Onu per crimini contro l’umanità. La Corte penale internazionale (ICC) sta anche conducendo una propria indagine preliminare per accertare se la guerra alla droga nelle Filippine costituisca un crimine contro l’umanità.

“Le Filippine respingono questa risoluzione”, ha detto il segretario agli esteri Teodoro Locsin Jr. “Non può, in coscienza, attenersi ad esso. Non accetteremo una risoluzione politicamente partigiana e unilaterale così distaccata dalla verità di fatto”. Locsin ha aggiunto che, alla luce di questa risoluzione, che è stata sostenuta da diversi paesi che le Filippine considerano alleati, tra cui il Regno Unito e l’Australia, la politica estera delle Filippine si è spostata da essere “amici di tutti, nemici di nessuno” a “amici con gli amici, nemici con i nemici, e nemico ancor peggiore per i falsi amici.Non tollereremo alcuna forma di mancanza di rispetto o atti di malafede. Ci saranno conseguenze, di vasta portata “, ha detto Locsin.

Questa dichiarazione potrebbe alludere a un cambio di alleanze da parte di Duarte. Che durante la campagna elettorale del 2016 aveva affermato la sua volontà di recuperare le isole a Ovest dell’arcipelago, occupate militarmente dalla Cina, ma rivendicate dalle Filippine, anche davanti alla Corte internazionale de L’Aja. Ma recentemente, anche dopo un incontro con il suo omologo cinese Xi Jinping, di fatto ha abbandonato questa rivendicazione, spiegando che Pechino ha dichiarato di essere disposta anche alla guerra per mantenere il controllo degli isolotti.

In generale, Duterte pare orientato a stringere rapporti privilegiati con Pechino; questo, malgrado le proteste di piazza, seguite all’affondamento di un peschereccio filippino, nel braccio di mare conteso, da parte di un’imbarcazione cinese, che per di più ha abbandonato i naufraghi al loro destino. I pescatori sono poi stati tratti in salvo da un’imbarcazione vietnamita.

Malgrado queste proteste, la popolarità di Duterte non è diminuita, e secondo i sondaggi la sua linea dura, non solo in materia di lotta alla droga, gli garantisce più del 60% dei consensi in patria. Una linea dura che colpisce anche il dissenso, e in particolare la stampa non allineata. E’ di questi giorni la denuncia del sito di informazione filippino Rappler, nelle parole della responsabile Maria Ressa, che ha chiamato la politica di repressione e violenza sui giornalisti “un vero e proprio attentato alla democrazia”. Faceva riferimento all’assassinio a Mindanao del giornalista radiofonico Eduardo Dizon, impegnato nelle indagini sul patrimonio del Presidente, e sui casi di corruzione e violazione dei diritti da parte dei suoi funzionari.

“L’uccisione di Eduardo Dizon sottolinea la precarietà della libertà di stampa nelle Filippine”, ha dichiarato  Human Rights Watch. Benchè la maggioranza dei filippini sembrino approvare la mano dura di Dutarte, il suo atteggiamento verso la libertà d’informazione sembra giustificare le denunce, e la risoluzione Onu: il sicario responsabile dell’uccisione nel 2016 del commentatore Jun Pala, ha recentemente dichiarato ad un comitato del Senato che a Davao, città natale di Dutert, e di cui all’epoca era sindaco, che l’uccisione del commentatore radiofonico era stata ordinata dall’attuale presidente. Prima di entrare in carica, Duterte ha anche affermato che il commentatore ucciso, Jun Pala, era “un putrido figlio di puttana”, che “meritava” di essere ucciso.

(Red/Ma. Sa.)

In copertina: Manila foto di JC Gellidon (Unsplash)

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