Gaza, la ‘geografia del risveglio’

Malesia, Germania e Gran Bretagna sono tra gli Stati che stanno condannando la strage compiuta dal governo israeliano. Ecco cosa si muove

di Alice Pistolesi

“Le atrocità commesse contro il popolo palestinese continuano a riflettere indifferenza e doppi standard”. A dirlo è stato il ministro degli Esteri malese Mohamad Hasan, il 25 maggio, durante un incontro dell’Asean, l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico, composta da dieci stati e di cui Kuala Lumpur detiene la presidenza di turno. Nel suo discorso Hasan ha condannato le “atrocità” nella Striscia di Gaza, descrivendole come il “risultato diretto dell’erosione del sacro diritto internazionale” e dichiarando che “l’Asean non può rimanere in silenzio”. Già nel mese di febbraio i ministri degli Esteri dell’Asean avevano hanno affermato il loro “sostegno di lunga data” ai diritti dei palestinesi.

Ma oltre alla Malesia, che non intrattiene relazioni diplomatiche con Israele e ha erogato donazioni e aiuti umanitari per oltre 10 milioni di dollari a Gaza dall’ottobre 2023, sono molti gli Stati che stanno alzando la voce su quanto succede nella Striscia. La Francia potrebbe presto riconoscere lo Stato di Palestina. Un’azione simbolica già presa, nel maggio 2024, da altri Paesi europei come Spagna, Irlanda e Norvegia e che sottolinea l’ostilità al modus operandi del governo Netanyahu.

Il ‘risveglio’ è arrivato anche dalla Gran Bretagna. “Ciò che sta accadendo a Gaza è moralmente sbagliato” ha dichiarato il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, motivando di fronte al Parlamento, la decisione di bloccare i negoziati per un accordo accordo di libero commercio fra Londra e Tel Aviv. A questo si aggiunge la convocazione al Foreign Office dell’ambasciatrice israeliana Tzipi Hotovely. Il sottosegretario al Medio Oriente, Hamish Falconer, ha infatti spiegato all’ambasciatrice come il blocco degli aiuti a Gaza sia da considerarsi “crudele e indifendibile” e che Israele “deve rispettare i suoi obblighi sulla base delle leggi umanitarie internazionali”.

Inoltre il Governo ha recentemente sottoposto a sanzioni, che includono restrizioni finanziarie e il bando ai viaggi, tre persone, fra cui la leader dei coloni Daniella Weiss, due insediamenti illegali e due organizzazioni che hanno “promosso la violenza contro le comunità palestinesi in Cisgiordania”. Tutte azioni che, secondo gli osservatori, sono il sintomo di un graduale cambio di atteggiamento da parte del governo britannico nei confronti dell’operato di Israele. Tutto questo arriva infatti a seguito di una dichiarazione congiunta di Regno Unito, Francia e Canada, rilasciata il 19 maggio, nella quale si condannava l’espansione dell’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza.

Qualcosa si muove anche in Grecia, storica alleata di Israele. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha rilasciato dichiarazioni critiche, definendo le operazioni israeliane a Gaza “ingiustificate e inaccettabili”. Dichiarazioni giunte a seguito della crescente pressione da parte di alcuni partiti di opposizione che accusano il premier di non aver preso una posizione netta contro le azioni israeliane.

E un cambio di passo arriva anche da altri ‘insospettabili’. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen ha definito le azioni di Israele a Gaza “abominevoli” e “inaccettabili”. “L’espansione delle operazioni militari di Israele a Gaza che prendono di mira le infrastrutture civili, tra cui una scuola che serviva da rifugio per le famiglie palestinesi sfollate, uccidendo civili, compresi i bambini, è abominevole”, ha detto von der Leyen in una conversazione telefonica con il re Abdullah II di Giordania, come riportato da un resoconto della Commissione. La commissaria ha anche chiesto “al governo di Israele di porre immediatamente fine all’escalation in corso”, e di ripristinare la consegna degli aiuti “in linea con i principi umanitari, con la partecipazione delle Nazioni Unite e degli altri partner umanitari internazionali”.

Dure critiche a Israele sono arrivate anche dalla Germania, altro storico alleato di Israele. ll cancelliere tedesco Friedrich Merz ha affermato che “è arrivato il momento di dire che non è più comprensibile quello che sta accadendo” a Gaza. Parlando in conferenza stampa a Helsinki con il premier finlandese, il leader tedesco ha dichiarato che le azioni attuali di Israele “non sono necessarie per difenderne l’esistenza”.

Alle dichiarazioni (che se è vero che sono solo parole segnano anche un cambiamento di passo nell’accettazione dell’agire israeliano) si uniscono anche alcuni (pochi) atti più pratici. La Commissione Europea ha infatti recentemente annunciato una revisione dell’accordo commerciale con Israele (che prevede anche la partecipazione di Tel Aviv al programma europeo di finanziamento della ricerca Horizon), su pressione di 17 Stati membri (con la contrarietà dell’Italia). La revisione non implica la sospensione, ma spetterà alla Commissione valutare se sono in corso violazioni dei diritti umani da parte di Israele. Se le violazioni venissero accertate si potrebbe richiedere la sospensione dell’accordo, che dovrebbe essere poi accettato dai 27 membri. Eventualità che resta piuttosto improbabile.

Pare poi che sia in arrivo una nuova sentenza della Corte Penale Internazionale. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, la Cpi starebbe prendendo in considerazione di emettere due mandati di arresto per il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. La decisione riguarderebbe il loro coinvolgimento nell’ampliamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, illegali per il diritto internazionale. Il procuratore capo Karim Khan, prima della sua autosospensione a seguito di accuse di molestia sessuale, stava predisponendo la documentazione necessaria per richiedere i mandati.

Ritornando in Asia merita sottolineare la posizione della Cina, che ha espresso la sua “contrarietà” al piano di Israele. “La Cina è molto preoccupata per l’attuale situazione tra Palestina e Israele”, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian, aggiungendo che Pechino “si oppone alle azioni militari in corso di Israele a Gaza e auspichiamo che tutte le parti continuino a impegnarsi e ad attuare efficacemente l’accordo di cessate il fuoco”.

La posizione della Cina nella questione israelo-palestinese resta ambigua. Se Pechino, il principale partner commerciale d’Israele in Asia, continua a fare affari sul piano economico, su quello politico il governo ha fortemente attaccato l’intervento israeliano a Gaza, oltre ad aver ospitato, nel luglio 2024, i negoziati tra Hamas e Fatah in vista di una loro possibile riconciliazione. Situazione a cui Israele ha risposto inviando una delegazione parlamentare a Taiwan e firmando una dichiarazione congiunta dell’Onu che condanna la Cina per violazioni dei diritti umani contro la popolazione uigura.

*Foto fornita da personale umanitario a Gaza nel marzo 2025

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