Gaza: la parola complicità

Come è difficile convivere col Governo del tuo Paese se non fa nulla per fermare la strage

Questa settimana il nostro direttore responsabile, Raffaele Crocco, è fuori dell’Italia. Il Punto della settimana riprenderà dunque più avanti. Pubblichiamo quindi una riflessione del nostro direttore editoriale su una delle tante questioni che riguardano il conflitto nella Striscia di Gaza

di Emanuele Giordana

C’è un altro conflitto su Gaza che riguarda le parole. Io ho smesso di usare il termine genocidio per non sentirmi fare una lezione di diritto internazionale con tutte le sfumature del caso che implicano il fatto che poi non si decide nulla. Mi attesto su crimini di guerra, crimini contro l’umanità, crimini potenzialmente genocidari. Molti non saranno soddisfatti nemmeno di queste accuse ma purtroppo osservo una tale cecità da parte di alcuni, come se a Gaza andasse in scena soltanto qualche grave episodio violento, che mi vien voglia di mandarli al diavolo. Non lo faccio solo perché poi ognuno deve e dovrà fare i conti con se stesso. Mi ha colpito quel recente filmatino, non ricordo fatto da chi, in cui – passato un decennio – una nipotina chiede al nonno: “Ma tu cosa hai fatto per fermare questa barbarie”? Domanda semplice e netta. Il nonno (o la nonna) abbozza. Fa una smorfia e forse, come aveva fatto allora, si gira dall’altra parte.
Girarmi dall’altra parte mi riesce davvero difficile ma mi sento impotente. Peggio, mi sento complice e diventa difficile sfuggire a questo status in un Paese che non fa nulla e che trova un momento di dignità istituzionale su questa vicenda solo quando parla il capo dello Stato. L’opposizione fa, certo, ma non poi così compatta (vedi i vari distinguo, i vari si ma però il 7 ottobre e così via) e tanto fa anche  la società civile, con manifestazioni e coraggiose iniziative come la flottiglia che parte in queste ore o la marcia che si organizza in Egitto. Ma è ancora troppo poco.
Mi resta questo senso mal sopportato di complicità. So cosa dirò a mio nipote: “Volevamo opporci e fermare la strage ma non ce l’abbiamo fatta”. Non so cosa diranno gli altri, quelli dei distinguo, quelli di si però Hamas. Hamas ha le sue responsabilità (che senso ha protrarre una guerra persa e che ogni giorno uccide una media di 50 palestinesi?) e Israele ha le sue (crimini reiterati e una evidente pulizia etnica in corso e non per la prima volta). Ma le responsabilità le abbiamo anche noi, le ho anch’io. E so che questa responsabilità diventa anche, seppur obtorto collo, la mia complicità. Spiegherò a mio nipote che io complice non lo ero, che ho firmato petizioni e partecipato a marce. Ma sui libri di Storia il mio Paese apparirà complice del massacro. E anch’io, purtroppo, con lui.
In copertina una foto di Fabio Bucciarelli

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