Gaza, un popolo in trappola

Oltre 5mila vittime e nessuna possibilità di uscire. Un esodo che solleva problemi di ricomposizione etnica. Intanto il valico di Rafah resta chiuso

Sono più di 4mila i morti della guerra tra Israele e Gaza secondo un bollettino diffuso ieri da Ocha (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) ma il bilancio andrebbe aumentato sino a oltre 5mila vittime poiché sarebbero più di mille i palestinesi dispersi sotto le macerie degli edifici distrutti dagli attacchi aerei israeliani su Gaza, come testimoniano  i soccorritori. E mentre le Nazioni Unite avvertono che le ultime riserve di carburante degli ospedali di Gaza probabilmente si esauriranno tra poche ore, corre la domanda sulle possibili vie di fuga unite alla preoccupazione che un eventuale esodo palestinese da Gaza significhi non vedere mai più rientrare i palestinesi che vi abitano. Una pulizia etnica della Striscia che sarebbe l’ultimo capitolo delle atrocità in corso.

Il valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto è stato (teoricamente)  aperto temporaneamente oggi a partire dalle 9 di questa mattina (ora locale) il doveva consentire agli stranieri, tra cui circa 600 cittadini americani, di entrare in Egitto, per evitare la possibile invasione israeliana di Gaza via terra che si sta preparando da giorni ma che pare fermata sia dalle condizioni meteorologiche sia, soprattutto, da quelle politiche viste le pressioni internazionali su Tel Aviv che non hanno però fermato i raid aerei a Nord. Sono un migliaio gli sfollati palestinesi tra cui 600mila che hanno lasciato il Nord della Striscia. Ma in realtà le fonti locali smentiscono che Rafah sia stato aperto. Chiusa l’unica uscita (e ingresso di beni di prima necessità) resta l’ipotesi di un’evacuazione per gli stranieri via nave. Il Segretario di Stato Blinken intanto è tornato a Tel Aviv.

Il valico di Rafah è comunque ormai l’unica via d’uscita da Gaza dopo che Israele ha chiuso i suoi valichi. In base all’ultimo accordo con l’Egitto, il transito è consentito solo ai cittadini stranieri. Il Dipartimento di Stato americano afferma che la situazione al valico di Rafah è “fluida e imprevedibile”, e non è “chiaro” per quanto tempo il valico rimarrà aperto nel contesto dell’imminente invasione terrestre di Gaza da parte di Israele. Sul fronte umanitario, il flusso di rifornimenti che arrivano a Gaza attraverso Rafah richiede l’approvazione di Israele. “E’ una catastrofe: siamo in presenza di crimini internazionali  di una virulenza senza precedenti”, – ha detto stamattina Francesca Albense, Relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi, ai microfoni di Radio Popolare. “Seguo le questioni mediorientali da oltre 15 anni – ha aggiunto – e non ho mai visto una cosa del genere”. 

In seguito all’accordo ottomano-britannico del 1906 – ricorda  oggi un servizio dell’emittente del Qatar Al Jazeera – fu stabilito un confine tra la Palestina governata dagli ottomani e l’Egitto governato dagli inglesi da Taba a Rafah. Gaza fu occupata dall’Egitto nel 1948 e cadde sotto il controllo di Israele in seguito alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, durante la quale anche la penisola del Sinai era controllata da Tel Aviv. L’accordo israelo-egiziano del 1979 permise il ritorno del Sinai, che confina con la Striscia di Gaza, all’Egitto, e così fu ristabilito il valico di frontiera di Rafah. Nel 1982, in seguito al ritiro israeliano dal Sinai, Rafah divenne il punto di divisione tra il territorio egiziano e quello palestinese occupato da Israele di Gaza. 

In copertina: Gaza (licenza shutterstock.com). Nel testo un grafico di Ocha del 15 ottobre

(Red/ESt/E.G.)

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