Gerusalemme è, ancora una volta, in subbuglio. Da venerdì 7 maggio non si fermano le proteste palestinesi e gli scontri che ne sono seguiti hanno provocato circa 300 feriti in pochi giorni. Venerdì sera le forze israeliane hanno fatto irruzione nei pressi della Moschea di al-Aqsa, dove, migliaia di palestinesi si erano recati già ore prima per partecipare all’ultimo venerdì di Ramadan.
I palestinesi erano poi rimasti nei pressi del terzo sito sacro all’Islam per protestare contro il piano di evacuazioni di famiglie palestinesi messo a punto da Tel Aviv nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est. Da giorni, infatti, i palestinesi denunciano gli sfratti a favore dei coloni e le loro proteste sono state represse dalle forze di sicurezza israeliane con gas lacrimogeni, pallottole di gomma, granate stordenti e lancio di cannoni ad acqua.
L’Unicef ha affermato che durante gli scontri almeno 29 bambini palestinesi sono stati feriti e otto sono stati arrestati. “L’Unicef – si legge in una dichiarazione di domenica dell’Agenzia – ha ricevuto rapporti secondo cui alle ambulanze era vietato arrivare sul posto per assistere ed evacuare i feriti e che una clinica in loco sarebbe stata colpita e perquisita”.
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Le tensioni che stanno montando da settimane confluiscono nella giornata di oggi, anniversario della conquista della città nel 1967 da parte delle truppe israeliane, tradizionalmente omaggiato con la Marcia della bandiera. Proprio oggi poi, sarebbe dovuta arrivare anche la sentenza della Corte Suprema israeliana sulla possibilità che le autorità possano sfrattare decine di palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah e dare le loro case a coloni ebrei. Ieri pomeriggio, però, il tribunale ha deciso di rinviare la seduta, che dovrebbe tenersi tra due settimane.
Gli sfratti sono già stati approvati dai tribunali inferiori. Il provvedimento riguarda oltre 70 palestinesi che vivono in case costruite su terreni che, secondo i giudici, appartenevano ad associazioni religiose ebraiche prima dell’istituzione di Israele nel 1948.
Nel mese di marzo gruppi palestinesi per i diritti umani hanno rivolto un appello alle Nazioni Unite affermando che il fondamento giuridico discriminatorio di Israele “fornisce la base per la sua creazione di un regime di apartheid sul popolo palestinese nel suo insieme”. L’appello punta poi sul fatto che, secondo il diritto internazionale, il sistema giudiziario israeliano non ha autorità legale sulla popolazione che occupa. “Non solo Israele – si legge nell’appello – ha illegalmente esteso il suo sistema legale civile interno alla Gerusalemme Est occupata, ma ha anche promulgato leggi e politiche più discriminatorie che impongono la confisca delle proprietà palestinesi a Gerusalemme Est a favore dei coloni, il trasferimento forzato dei palestinesi e l’espansione della presenza ebraico-israeliana nella città ”.
Sempre oggi, poi, si riunirà il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per una discussione privata sulle tensioni a Gerusalemme Est. I diplomatici hanno riferito che il briefing è stato richiesto da quasi due terzi dei 15 membri del consiglio: Tunisia, Irlanda, Cina, Estonia, Francia, Norvegia, Niger, Saint Vincent e Grenadine e Vietnam.
Secondo l’analisi di Anshel Pfeffer pubblicata sul quotidiano Haaretz c’è una confluenza di eventi che potevano far prevedere il caos. Il Ramadan che si è svolto dopo un anno lungo e difficile in cui il coronavirus ha avuto un grave impatto su Gerusalemme Est, con migliaia di giovani rimasti disoccupati, oltre all’imminente sentenza della Corte Suprema. A questo si aggiungono poi le elezioni palestinesi che dovevano tenersi a maggio e che sono state rinviate, “il numero crescente di teppisti di estrema destra Otzma Yehudit, incoraggiati ora che il loro leader, Itamar Ben-Gvir, è un legislatore e un partner onorato di Benjamin Netanyahu” e il fatto che il Jerusalem Day cade quest’anno proprio alla fine del Ramadan.
“La prima e la seconda intifada – conclude – sono iniziate entrambe in circostanze simili”.
*In copertina Photo by nour tayeh on Unsplash
di Red/Al.Pi.
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