di Giacomo Cioni
A Gaza non muoiono soltanto civili sotto le bombe. Da quasi due anni, muoiono sistematicamente i giornalisti. Quasi 220 reporter palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano in 23 mesi di guerra. Molti di loro erano chiaramente identificabili come stampa, molti sono stati colpiti mentre lavoravano. In più di cinquanta casi, secondo Reporter Senza Frontiere (RSF), si è trattato di attacchi mirati. Non è un “effetto collaterale”: è un disegno
che mira a spegnere le voci scomode, ridurre al silenzio chi documenta il massacro, cancellare il diritto del mondo a sapere.
Il prossimo 1° settembre, oltre 150 testate di più di 50 paesi parteciperanno a una mobilitazione globale lanciata da RSF via Avaaz. È una campagna che chiede tre cose semplici e fondamentali: protezione ed evacuazione d’emergenza per i giornalisti palestinesi, accesso indipendente alla Striscia di Gaza per la stampa internazionale, giustizia alla Corte penale internazionale per i crimini commessi contro i professionisti dell’informazione. Di fronte a una realtà così brutale, il giornalismo non può limitarsi a registrare numeri. I giornalisti non sono numeri. Sono donne e uomini che scelgono di raccontare, anche a rischio della vita. Ogni reporter ucciso a Gaza è una telecamera spenta, una testimonianza negata, una verità che non arriverà mai all’opinione pubblica. Non si tratta di una questione “palestinese” o “israeliana”. Si tratta di una questione universale: senza libertà di stampa, i conflitti restano invisibili, i crimini restano impuniti, la propaganda diventa l’unica voce.
La redazione di Atlante delle guerre e dei conflitti nel Mondo aderisce con convinzione all’appello
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L’immagine di copertina è tratta da wikipedia






