Goma: un inferno nel conflitto infinito della RD Congo

Dopo l'uccisione dell'Ambasciatore Attanasio, del suo autista Milambo e del carabiniere Iacovacci, ricostruiamo il contesto con Egidio Crotti, ex Unicef, che fu coordinatore del Fondo per l'infanzia durante l’emergenza in Ruanda nel 1994 in quella zona. Quando tutto comincio'

Lunedì 22 Febbraio l’Italia e l’Europa sono state sconvolte dalla notizia della morte dell’Ambasciatore Italiano Luca Attanasio, del suo autista Mustapha Milambo e del carabiniere Vittorio Iacovacci della scorta. I tre sono rimasti uccisi in un attentato armato al convoglio del Programma Alimentare Mondiale, con il quale viaggiavano da Goma a Rutshuru per fare visita a un programma di alimentazione scolastica. Mentre le autorità indagano sulla natura dell’attacco, ancora da chiarirsi, contestualizziamo la notizia insieme a Egidio Crotti, che fu il  coordinatore Unicef per l’emergenza del Ruanda, a Goma, nel 1994. In seguito, prima del suo ritiro dal Fondo Onu per l’infanzia, e’ stato a lungo in Sudamerica ma quell’esperienza africano, che  lo ha segnato, gli fa dire che quel momento fu  il punto di partenza dell’inferno di Goma

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L’intervista

Egidio Crotti

Non è un caso che la Missione di Stabilizzazione della Repubblica Democratica del Congo – cui partecipavano l’ambasciatore Attanasio e altre personalità come il Capo Delegazione dell’Unione Europea – si trovasse nella regione di Goma: la città (al confine Est del Paese) e l’area circostante è terra di nessuno da tempo. La violenza è quotidiana e lo Stato assente in ogni sua forma.

Egidio Crotti, lei fu  coordinatore Unicef per l’emergenza Ruanda a Goma e arrivò nell’area nell’agosto 1994, all’epoca del genocidio. Ci può descrivere lo scenario?

Sono arrivato a Goma alla fine di agosto del 1994. In poco più di una settimana l’area si era trovata ad ospitare oltre 3milioni di profughi e la situazione era oltremodo tesa perché perché i rifugiati che arrivavano dal Ruanda erano hutu e tra questi si trovavano molti dei responsabili di genocidio. I campi erano controllati dai genocidari e la missione Unicef si trovava a dieci chilometri da Goma, sul lago Kivu.

Cosa le è rimasto più impresso di quei mesi?

Ricordi alcuni momenti davvero drammatici. Una mattina abbiamo trovato tre persone impiccate con filo spinato nei pressi dell’ospedale di Goma perché accusati di essere spie tutsi infiltrate. In un’altra siamo stati circondati da una cinquantina di uomini armati di machete perché avevamo ipotizzato di cambiare la gestione degli aiuti nei campi. Un’altra volta, invece, una nostra assistente sociale con tratti somatici tutsi è stata quasi linciata.

 Come è cambiata Goma con questo grande esodo?

L’area di Goma era un paradiso, tant’è vero che era il luogo di villeggiatura delle autorità belga. Il paesaggio è meraviglioso tra il lago, i vulcani e foreste abitate dai gorilla. Inoltre la terra in quell’area vulcanica è fertile e il clima meraviglioso. L’esodo biblico che si è trovata ad affrontare è stato senza eguali e la devastazione ambientale incalcolabile. Naturalmente si trattava di un paradiso già con diversi lati infernali, purtroppo comuni a diverse realtà non solo africane: nell’ospedale dove chi poteva – dunque già una minoranza –  andava a partorire, un terzo delle donne era sieropositivo. Era dunque una situazione complessa che diventa’ una tragedia dopo il terrore scatenato in Ruanda.

Quando è poi cambiata la situazione a Goma?

Il governo del Ruanda non poteva tollerare 3milioni di persone alla frontiera. Per questo dopo mesi di pressioni iniziò il rientro e non ci fu la rappresaglia vendicativa che ci si poteva immaginare. Non venne utilizzata la pena di morte e ci furono una serie di processi regolari. L’idea era quella che una riappacificazione fosse necessaria. Non era scontato che andasse così. Il massacro coinvolse 800mila persone. Ricordo che una volta percorsi in macchina tre ore di deserto, da Goma a Kigali. Area che prima dello sterminio aveva la stessa densità dell’Olanda. Non mi scorderò mai quella sensazione. Ora era disabitata.

A Goma cosa è rimasto di quell’esperienza?

La devastazione ecologica partita da quella esperienza è stata immane. Anche prima dell’esodo, come ho ricordato,  nell’ospedale di Goma c’era un 30% di donne sieropositive e la situazione sanitaria, sociale ed economica già più che precaria ne ha risentito in maniera permanente. Già alla fine di novembre del 1994 cominciavano a diffondersi i commercianti di armi e la terra diventava sempre più di nessuno, in un’area in cui governo centrale non è mai riuscito ad esercitare il suo potere. Con il rientro dei profughi le ong se ne andarono e sono rimaste le Nazioni Unite e i missionari. Da quel 1994 in poi hanno iniziato a diffondersi gruppi di autodifesa che all’occorrenza diventano di offesa, gruppi di ribelli hutu che rientrano in Ruanda per azioni di disturbo, bande finanziate a loro volta dal governo del Ruanda, multinazionali interessate alla ricchezza e alle ricorse inestimabili. L’unica forza parastatale più organizzata sono i guardiani del parco, ma la situazione era ed è infernale. Oltre all’attentato all’ambasciatore italiano, all’autista e al carabineire con lui, ci sono stati altri casi di internazionali uccisi negli ultimi anni. La situazione è talmente esplosiva e senza redini che qualsiasi gruppo potrebbe essere stato il responsabile dell’attentato.

Lo sfruttamento delle risorse da parte di aziende straniere era già iniziato nel 1994?

Più che sfruttamento lo possiamo definire un vero ‘banchetto’, che va avanti dai tempi in cui il Paese era colonia personale di re Leopoldo e poi del Governo belga. Il livello di corruzione è spaventoso e questo contribuisce alla situazione di impoverimento e violenza che conosciamo. Cinque mesi prima del mio arrivo avevano cambiato moneta. Mi ricordo che andavo con un piccolo aereo a Nairobi per cambiare i soldi da alcuni commercianti indiani che poi pagavano il personale locale della missione con delle carriole piene di soldi, ma che in realtà erano pochi dollari. C’era stato infatti un picco di inflazione assurda.

La situazione nel Paese

La Repubblica Democratica del Congo è stata oggetto di analisi dell’Atlante delle Guerre da oltre dieci anni: la crisi del Paese ha quasi 30 anni, e non è stata risolta nemmeno dopo l’accordo di pace del 2003 che ha – almeno formalmente – concluso il conflitto civile. La guerra che strazia la Repubblica Democratica del Congo ha radici profondissime di carattere economico e postcoloniale, che i debolissimi governi più o meno democratici che si sono susseguiti non sono riusciti a scalzare anche perché, spesso, la classe dirigente era direttamente responsabile o connivente con le profondissime disuguaglianze sociali e la mala gestione delle finanze e della res publica.

Dopo la guerra congolese, il Paese è crollato in quello che viene definito “un conflitto a bassa intensità”: una serie di micro-conflitti a livello locale, violenze sistematiche e indiscriminate contro i villaggi civili, ad opera di bande armate numerosissime e diverse tra loro. La questione, e la causa scatenante le costanti violenze sui civili, è il controllo delle risorse naturali che rappresentano la maledizione del Paese: diamanti, coltan (usato nella produzione dei telefoni cellulari) oro, cobalto, rame, niobio, ma anche legnami pregiati, patrimonio di biodiversità, vastità di terre coltivabili che rendono il Congo oggetto degli appetiti internazionali e di lotte di potere interne. L’assoluta povertà in cui vive il 71% della popolazione, l’assenza di infrastrutture, l’incapacità del potere statale di fare breccia nelle regioni più lontane da Kinshasa lasciano i congolesi alla mercè di schiavisti che ne sfruttano il lavoro o li arruolano in bande criminali.

In questo contesto si inserisce la missione Monusco, operazione delle Nazioni Unite attiva dal 2010 e volta a mantenere la pace in territori definiti “infernali”, quali il Katanga, il Kansai, l’Alto e il Basso Kivu (regione nella quale si trova Goma, teatro dell’attentato all’ambasciatore italiano). Con oltre 12000 militari stanziati e 5000 tra personale diplomatico e civile, la missione è votata alla tutela dei civili e del personale umanitario che li assiste.

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