di Emanuele Giordana
Manca solo una settimana dalla riunione dell’Asean che si terrà sul caso Myanmar nella capitale indonesiana il 24 aprile e il Committee Representing Pyidaungsu Hluttaw (Crph) – comitato di parlamentari birmani eletti in novembre ed esautorati dal golpe militare del 1 febbraio – accelera, annunciando la formazione di un Governo di unità nazionale (Nug) e la formazione di un esercito federale. Un esecutivo che rappresenta sia le minoranze sia gli eserciti “etnici” regionali e si basa su una Carta federale che disegna una nuova Costituzione federativa che sancisca la fine di quella del 2008 voluta dai militari. E sfida ora il mondo a riconoscerlo come il vero rappresentante di un Paese in mano a una giunta sanguinaria che ha ucciso a oggi 728 persone.
La conferenza stampa di presentazione si tiene via zoom da un luogo segreto: “Finisce l’era della paura e delle divisioni e comincia quella della speranza”, dice il portavoce del nuovo esecutivo, il dottor Sasa, inviato speciale del Crph all’Onu e portavoce del nuovo governo. Un governo dove il presidente U Win Mynt e la State Consuellor Aung San Suu Kyi mantengono le loro cariche che sarà guidato dal vice presidente Duwa Lashi La e dal premier Mahn Win Khaing Than. Un esecutivo di 26 membri di cui 11 sono ministri. La metà non sono di nazionalità Bamar (la maggioritaria) e le donne sono otto. Lo stesso premier è un Karen, e il vicepresidente un Kachin. Sasa è un famoso medico Chin. A equilibri rispettati nel governo ombra, si potrebbe dire che la giunta abbia ottenuto il risultato politico più inimmaginabile solo alcuni mesi fa: un esecutivo dove sono rappresentate le minoranze e un’unità di intenti, saldatasi sull’opposizione alla giunta, che, per la prima volta, prospetta una Federazione.
La reazione tra i birmani e’ evidente. Anche all’estero: in Italia la comunità birmana del nostro Paese commenta dicendo che si tratta di un “giorno memorabile e meraviglioso” che segna la fine di un’epoca e l’inizio di un futuro dove “credenze religiose, livelli sociali e appartenenze etniche” non costituiranno più un problema. Soddisfazione evidente e condivisibile anche se la strada resta in salita.
Strada in salita
Benché l’esecutivo confidi nel riconoscimento a breve di diversi governi (occidentali e arabi ha detto Lwin Ko Latt, neo ministro dell’Interno) le cose non saranno cosi semplici come non sarà semplicissimo formare un esercito federale che “esisteva già nel 1947 ai tempi di Aung San (padre di Suu Kyi ndr)”, dice Sasa. Molte fazioni armate litigano fra loro per questioni di confine. Ma la presenza come premier di un Kachin (l’avvocato Duwa Lashi La è presidente del Kachin National Consultative Assembly) può avvicinare il Kachin Independence Army, una delle fazioni meglio organizzate e la più attiva al momento contro la giunta con cui si scontra quotidianamente. Ma è difficile immaginare una rapida unione di forze armate tanto diverse che al momento hanno in parte come base comune un accordo di cessate il fuoco (dieci tra le venti più importanti) e un odio ormai ancestrale contro Tatmadaw, l’esercito birmano ritenuto espressione dei Bamar. I dadi comunque sono tratti e l’accelerazione dovuta al golpe può riservare sorprese.
La prima riguarda quel che accadrà il 24 a Giacarta quando si vedranno i dieci membri dell’Asean, l’associazione del Sudest asiatico sulla cui mediazione puntano tutti – da Pechino a Roma – e che ha convocato, non senza difficoltà, una riunione urgente sul caso. Si aspettano i capi di Stato ma anche l’ingombrante presenza del capo della giunta, il generale Min Aung Hlaing. Le indiscrezioni dicono che il cerimoniale prevede un incontro a porte chiuse col generale perché spieghi le sue ragioni e poi il summit dell’Asean: una forma che sarebbe anche sostanza per capire se c’è la possibilità di una mediazione ma senza far sedere a tavola il generale, il che equivarrebbe a un riconoscimento dei golpisti, finora evitato camminando sulle uova. Il governo ombra suggerisce che al suo posto dovrebbe essere invitato chi rappresenta davvero i birmani: “Invitare un assassino? – tuona Sasa in conferenza stampa – Sarebbe una vergogna per l’Asean”, che ha una “Carta (di valori) e che finora non ha riconosciuto il colpo di Stato”, gli fa eco Moe Zaw Oo che con Sasa risponde alle domande dei giornalisti. Poi c’è l’incognita Cina, un Paese che, contrariamente alla Russia che si è schierata senza mezzi termini a fianco dei generali, vede con insofferenza quel che accade ai suoi confini meridionali, in un Paese dove i suoi affari – dal tessile alle pipeline – rischiano perdite e boicottaggi già cominciati. Si sa che Pechino confida nella mediazione Asean e si sa che per l’Asean il “dossier Myanmar” è la sfida più grossa che l’associazione si trova di fronte e che rischia di trascinarla nel caos che ogni giorno dal 1 febbraio segna nel sangue le giornate dei birmani.