Gran Bretagna senza testa

Dopo le dimissioni della Premier 44 giorni dopo la nomina. Tra i nomi dei papabili anche  Boris Johnson. Ma le sfide internazionali e la crisi interna non lasciano più spazio agli errori

di Lucia Frigo 

Londra – Liz Truss abbandona il ruolo di Primo Ministro britannico dopo solo 44 giorni al governo. Le dimissioni erano nell’aria da settimane, dopo una serie di segnali contraddittori e di sostituzioni di Ministri chiave come quello all’Economia e agli affari interni, in un disperato tentativo di mantenere il controllo. In meno di un mese di governo effettivo (i primi 14 giorni della Truss sono stati segnati dal lutto per la Regina Elisabetta II, con conseguente interruzione delle attività parlamentari) la Truss è riuscita a far crollare il valore della sterlina, terrorizzare i mercati nazionali e internazionali, e far vacillare il mercato immobiliare tanto da dover far intervenire la Banca d’Inghilterra per attutire il colpo.  Il Regno Unito si trova così a dover trovare un nuovo Premier, sempre all’interno di quel partito conservatore che aveva stravinto sotto la guida di Boris Johnson per poi piombare nel caos. Le ultime primarie, condotte durante l’estate, erano durate più del governo effettivo di Liz Truss; le prossime saranno invece delle “primarie lampo”, e nella prossima settimana dovremmo già avere il nome del futuro residente di Downing Street 10.

Non sarà facile. Il partito conservatore si rivela più frammentario che mai all’interno del Parlamento. Fuori da Westminster, il popolo britannico ha perso ogni fiducia: in una stagione con inflazione da record e costo delle bollette alle stelle, i giochi politici non interessano più. Il prossimo Primo Ministro, uomo o donna che sia, dovrà rimboccarsi le maniche in tutta velocità per salvare l’economia britannica, e per riguadagnare la fiducia nazionale e internazionale.

Tra i nomi suggeriti per il successore della Truss spicca quello di Boris Johnson – lo stesso premier il cui governo era crollato nell’estate a causa della “mancanza di integrità” del leader, che aveva tentato di insabbiare una serie di scandali. Certo, con una carriera inusuale come la sua, un ritorno alla ribalta non sarebbe un’opzione impossibile. Dalla sua parte, Johnson può vantare l’affetto del popolo che l’ha scelto nelle elezioni del 2019, ma anche una certa credibilità a livello internazionale, forte delle relazioni instaurate negli scorsi due anni. È proprio il rapporto con Zelenskyi, stretto fin dai primissimi giorni della guerra in Ucraina e molto personale, che potrebbe essere la carta vincente per il ritorno di “BoJo.

Sfide domestiche, sfide internazionali

Molti parlamentari e commentatori britannici hanno osservato come quest’ennesima crisi politica sia devastante per la reputazione britannica all’estero. Dopo due anni di difficoltà sul caso Brexit, che ha complicato le relazioni con i Paesi Europei, il Regno Unito avrebbe dovuto dimostrare al mondo di saper mettere in pratica tutti gli slogan del referendum anti UE, tra cui il famoso mito di diventare una “Global Britain”, riaffermando il proprio ruolo a livello globale. Non sembra così. La Brexit non è finita. Restano aperte grandi ferite, come quella dell’Irlanda del Nord, che è rimasta ignorata dall’ultima premiership. Ancora senza governo da Maggio, Belfast resta in un limbo tra mercato unico europeo e governo della corona, e Londra sembra non badare ai moti repubblicani che montano tra l’insoddisfazione generale.

Il Regno Unito tenta di ristabilirsi sullo scacchiere internazionale, ma è una tigre di carta. I rapporti bilaterali con le capitali europee che avrebbero dovuto rimpiazzare la presenza di Londra nelle istituzioni non stanno dando i frutti sperati, e anche il tanto vantato rapporto con gli Stati Uniti non sembra solido come una volta: Londra ha meno da offrire, agli occhi di Washington, avendo perso la sua influenza a livello europeo. Quello che è certo, dicono gli osservatori, è che chiunque risiederà a Downing Street dovrà procedere sul terreno tracciato dai suoi predecessori nella politica estera e di sicurezza: aumento della spesa per la difesa, armi all’Ucraina, riarmo nella NATO e in Europa.

A scatenare la crisi è stata l’economia dei ricchi

È stata la mia visione economica troppo ambiziosa e troppo repentina” si è scusata la Truss pochi giorni prima di concedere le dimissioni. In un periodo di profonda crisi nel Regno Unito, dovuta al caro vita, all’impennata dei costi dell’energia, e a un divario Nord-Sud da record, quella che la Truss ha definito una visione è parsa agli occhi degli economisti una scommessa senza fondamento: il “mini-budget” proposto dalla Truss a inizio mese includeva delle scelte paradossali come quella di abbassare le tasse solo agli ultra ricchi, nella speranza che una “trickle down economy” (economia di colata, dove la ricchezza è riversata sulle fasce più alte della popolazione nella speranza che costoro riattivino il mercato) fosse la scelta azzeccata. Una proposta disastrosa, ritirata due settimane dopo una valanga di critiche e il duro intervento del Fondo Monetario Internazionale.

Agli occhi della gente, la proposta del mini-budget (che ora dovrà essere sostituito al più presto) ha solo dimostrato l’enorme divario tra la ricca classe politica e il cittadino medio. Mentre gli ultraricchi continuano ad accrescere i loro patrimoni in un crescendo iniziato durante la pandemia, un inglese su cinque rischia di scivolare sotto la soglia della povertà. Oltre 1.3 milioni di inglesi saranno a rischio fame a partire dal 2023 – incluso mezzo milione di bambini, le cui famiglie non riescono più a garantire i tre pasti al giorno, o il riscaldamento in casa. Mentre musei e biblioteche invitano le famiglie a frequentare gli spazi pubblici così da stare al caldo nei mesi invernali, Westminster dovrà trovare al più presto una soluzione alla crisi politica: quella economica e quella sociale non possono più aspettare.

In copertina un ‘immagine di Westminster di Young Shih, Unsphash

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