Guerra di poteri a K L (aggiornato)

Crisi politica risolta in Malaysia. Nel Paese più stabile del Sudest asiatico una settimana di colpi di scena

Ultimora. A sorpresa il  sultano Abdullah Sultan Ahmad Shah, dopo aver ascoltato  tutti i parlamentari la scorsa settimana, ha deciso di affidare l’incarico di primo ministro della Malaysia al 72enne Muhyiddin Yassin (nella foto) – un membro di spicco del partito Bersatu diell’ex premier Mahathir – poiché godrebbe della fiducia della maggioranza dei legislatori per  formare il prossimo governo. Oggi presta giuramento. Di seguito una ricostruzione della crisi fino a sabato mattina. 

Dal nostro inviato nel Sudest asiatico

Una delle più floride e tranquille società asiatiche che in nome della stabilità ha istituzionalizzato l’autoritarismo di Stato e che è però stata in grado di mantenere l’unità in un Paese dove quasi la metà dei suoi abitanti sono cinesi, attraversa in queste ore una crisi al buio. La Malaysia, con Singapore faro dello sviluppo tra le tigri dell’Asia di Sudest, è da lunedi in balia di una crisi di governo complessa e dagli esiti incerti, al momento nelle mani del Yang di Pertuan Agong – sultano Abdullah di Pahang – il monarca costituzionale scelto a rotazione tra i principi malesi. Che, per la prima volta nella storia della Malaysia, ha condotto consultazioni a larghissimo raggio per decidere la scelta del nuovo premier. Tutto comincia nel week end.

Il luogo è la capitale, Kuala Lumpur, dove una cena riunisce domenica notabili politici di segno opposto. Ci sono i plenipotenziari dell’Umno, la balena bianca della Malaysia, partito di centro destra sulla scena sin dalla proclamazione dell’Unione malese (poi federazione) negli anni Cinquanta quando, buono ultimo, il Paese si liberò della corona britannica. Umno ora è all’opposizione ma è ancora forte, più nelle reti di potere che nei numeri elettorali. Per anni è stato guidato da Mahatir Mohamad, diventato nuovamente premier nel 2018 ma non nelle file dell’Umno, da cui si era sfilato, ma in quelle della coalizione Pakatan Harapan (Ph). A cena ci però sono anche uomini del Ph e, anzi, sia del partito di Mahatir (Parti Pribumi Bersatu Malaysia) sia di quello del suo vice, Anwar Ibrahim a capo del Parti Keadilan Rakyat.

L’oggetto del contendere è la nomina di Anwar a successore  di Mahatir come premier che, secondo gli accordi, doveva avvenire a metà mandato, ossia nel corso di quest’anno. Ma ai nemici interni di del partito di Anwar la cosa non va giù e nemmeno al partito di Mahatir che evidentemente non vuole perdere il premier. L’Umno tresca con la fronda tra cui ci sono personaggi di primo piano come Mohamed Azmin Ali, ministro degli affari economici (poi espulso dal Pkr).

La vicenda diventa di dominio pubblico lunedi con un colpo di scena. Mahatir, premier ora e dal 1981 al 2003 e simbolo della stabilità in salsa malese, si dimette. Rassegna la carica nelle mani del re che lo nomina ad interim, ma senza gabinetto, per gestire gli affari correnti. Dice in sostanza che i complotti non gli piacciono (nemmeno se a suo favore) e che i partiti devono fare un passo indietro. Non si propone come primo ministro ma qualcosa lascia intendere. Chi sarà dunque il nuovo premier visto che Anwar ha detto ieri di godere del pieno appoggio della  Pakatan  Harapan?

La storia non è così semplice in un Paese stabile sì, ma sempre attraversato da tensioni. Anwar gode di appoggi ma è un uomo identificato con l’islam modernista che non piace a tutti. Assieme a Mahatir può andar bene ma da solo? L’uomo però ha 94 anni e prima o poi dovrà mollare: in questi anni ha sempre detto che avrebbe ottemperato alla promessa di fare di Anwar il suo delfino senza però mantenerla. Può ripresentarsi di nuovo? E con chi? I numeri in parlamento sono ballerini e c’è spazio per i piccoli partiti – come l’ortodosso e islamista PartiSe Malaysia (Pas) – alleati dell’Umno. Infine a una defezione di ribelli potrebbe seguirne un’altra.

Un sondaggio citato dal New Straits Times di Kuala Lumpur – dice che meno del 18% degli intervistati  ha espresso rabbia e frustrazione per l’incertezza politica e che la maggioranza considera il Paese ancora una democrazia. Ma intanto la borsa è calata e Moody’s sostiene che le dimissioni  gravano sugli investimenti privati e una crisi prolungata aggraverà un’economia che rallenterà – dopo 10 anni al 4,3% – al 4,2 con ribassi dovuti alle tensioni commerciali globali e al coronavirus. La crisi insomma è peggio del Covid-19.

Intanto è spuntato un terzo candidato: Muhyiddin Mohd Yassin che gode lui pure dell’appoggio del centrodestra ma che non sembra poter farcela di fronte ai due grandi protagonisti. Fa parte del partito di Mahatir. Ma i colpi di scena sono in rapida successione.

L’ultimo colpo di scena è di stamattina quando Mahatir ha fatto sapere di avere in agenda un incontro con la sua vecchia coalizione che dunque potrebbe garantirgli il sostegno a essere premier. Se così fosse si tratterebbe di un ennesimo accordo con Anwar che riporterebbe i giochi al punto di partenza con un Mahatir ancora premier ma più debole di prima, ostaggio dei voti del suo “delfino”. Se così fosse, il re potrebbe presto sciogliere la riserva e prima o poi lo scettro dovrebbe passare ad Anwar.

Mahatir dunque  tiene il punto. E i due non si sono attaccati anche se c’è una ruggine antica: Anwar, che era il  suo vice quando Mahatir era premier tra il 1981 e il 2003, venne licenziato per disaccordi sulla gestione della crisi finanziaria. Seguì una bizzarra accusa di sodomia, processo “politico” dietro al quale si intravedeva l’ombra di Mahatir, Poi nel 2018 a sorpresa una nuova alleanza politica uscita vittoriosa dalle urne.

Emanuele Giordana 
In copertina il palazzo reale. Nel testo, dall’alto, il re, Mahatir e Anwar
Aggiornato domenica 1 marzo alle 1 am ora italiana

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