Guerre commerciali. Gli Usa al bivio (2)

Da Nixon a Trump: la lunga storia della partita per la supremazia economica tra Repubblica popolare cinese e Stati Uniti

di Maurizio Sacchi

Nel 1971, sotto la copertura di un viaggio in Pakistan, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger fece segretamente scalo a Pechino. Era passato solo  un mese dalll’apertura alla Cina, ricordata negli annali come «Nixon shock», e l’amministrazione Nixon effettuò una svalutazione del dollaro dell’8% e  svincolò la banconota americana dall’oro, mettendo fine dopo 25 anni al sistema stabilito dagli accordi di Bretton Woods. Non essendo ancora integrata, l’economia cinese non risentì gli effetti negativi che questa radicale risposta alla disoccupazione e all’inflazione produsse nelle economie occidentali. Seguì poi il viaggio di Nixon in Cina, ricordato dal presidente come «la settimana che cambiò il mondo» (21-28 febbraio 1972), conclusa con lo «Shanghai Communiqué» del 27 febbraio sulle questioni da affrontare per normalizzare i rapporti bilaterali, tra cui il commercio. Già nel 1972 l’interscambio commerciale tra i due paesi sfiorò i 100 milioni di dollari. Oltre a prodotti agricoli e a 10 aerei Boeing, gli USA cedettero alla Cina anche il sistema di navigazione aerea a guida inerziale. 

Gli effetti di questa apertura si videro nei decenni successivi, e si tradussero in una diminuzione della quota di mercato mondiale detenuta dagli Stati Uniti, scesa dal 40% del 1960 al 25% del 2008. Ma la vera svolta avvenne nel 2013, l’anno in cui il volume del commercio cinese superò quello americano. Il nuovo presidente Xi Jinping lanciò un progetto geo-economico globale volto a fare della Cina uno dei maggiori protagonisti del XXI secolo. Il programma prevede la creazione di una titanica rete infrastrutturale euro-afro-asiatica dalla Cina  a Rotterdam, composta da due itinerari complementari, uno terrestre, attraverso l’Asia Centrale e la Turchia («Cintura economica della Via della Seta») e uno marittimo attraverso l’ oceano Indiano, e accessi medio-orientali al Mediterraneo («Via della Seta marittima»). Alle due Vie della seta venne associata la fondazione di due istituzioni finanziarie, l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) e il Silk Road Fund, che hanno come obiettivo il finanziamento della modernizzazione del sistema produttivo cinese, liberandolo, almeno  nelle intenzioni da corruzione e inquinamento, e i progetti infrastrutturali lungo le due Vie. 

La scelta di Obama

La presidenza Obama mantenne un atteggiamento ondivago verso la Cina, da un lato rinnovando (2011) l’accordo di cooperazione tecnico- scientifica, con l’avvio di più di 20mila  ricerche congiunte nel 2012, dall’altro formulando una dottrina di sicurezza asiatica («Pivot to Asia») basata sul contenimento della Cina, ed escludendola dal progetto di Trans Pacific Partnership (TPP), benché un rapporto del Congresso del dicembre 2015 ne auspicasse la futura inclusione  La quasi fulminea creazione dell’AIIB, attivata nel gennaio 2016, ha dato la misura delle capacità acquisite dalla Cina sul piano finanziario, in particolare facendo leva sul convergente interesse della City di Londra (che consentì di isolare l’opposizione americana e di attrarre i maggiori paesi EU insieme alla Russia di «Londongrad») e dell’industria australiana per gli 8mila miliardi di dollari di investimenti infrastrutturali previsti dal Piano quinquennale appena conclusosi (2016-2020). 

il 1° ottobre 2016 segna un’altra tappa fondamentale nella storia dell’ascesa della Cina sullo scenario economico globale, con l’ingresso del renminbi nel paniere del Fondo monetario internazionale, come valuta di riserva. D’altra parte il piano di Xi Jinping conferma che Cina e Stati Uniti si muovono su terreni diversi.Il 60% del commercio cinese segue rotte fluviali-marittime, in ultima analisi controllate dagli Stati Uniti e dai Lloyds di Londra. Le polemiche sulle portaerei e le isole artificiali sono strumentali, perché l’espansione marittima della Cina è limitata dai grandi arcipelaghi che la fronteggiano, Giappone, Indonesia Filippine, e il massimo di espansione a cui può aspirare è il controllo del Mar del Giappone (a differenza del Giappone che ha una libera proiezione oceanica). Il 40% delle merci segue le rotte continentali, ancor meno controllabili e più vulnerabili di quelle marittime, come si è visto dalle difficoltà frapposte da Uzbekistan e Polonia, che hanno di fatto rallentato la viabilità o bloccato progetti. Il blocco eurasiatico capace di sfidare l’Occidente è infatti solo retorica, per quanto sarebbe un errore sottovalutare i progressi, anche economico-finanziari, del Patto di Shanghai, favoriti dalla controproducente riproposta del Grande Gioco (1807-1907), inscenata dagli Stati Uniti nel periodo fra il 2001 e il 2016. 

Individuare nella Cina il nemico principale è stato uno dei temi qualificanti della campagna elettorale di Donald Trump, coerente con la promessa di «riportare in America il lavoro» perduto a seguito della deindustrializzazione e delocalizzazione, e di alzare le barriere tariffarie soprattutto verso la Cina. In effetti nel 2016 l’export americano in Cina è stato di appena 115 miliardi di dollari contro 462 di importazioni, con un vistoso deficit di 347 miliardi. In realtà lo squilibrio è inferiore, tenuto conto dei dati relativi ai settori globalizzati e al re-export attraverso Hong Kong; e in ogni modo per l’export americano il mercato potenziale cinese vale 400 miliardi di dollari. Il 17 gennaio, ospite per la prima volta al 47° forum economico mondiale di Davos, Xi Jinping ha esaltato i grandi benefici della globalizzazione, confermando l’impegno per il libero scambio e la liberalizzazione degli investimenti, concludendo che «nessuno  emergerebbe vincitore  da una guerra commerciale». 

I dati e le informazioni contenute in questo riesame della guerra commerciale fra Washington e Pechino provengono in larga parte da un prezioso testo, che esamina gli ultimi due secoli di questa particolare declinazione dei conflitti fra Stati: Economic Warfare – L’arma economica in tempo di pace,   a cura di Virgilio Ilari e Giuseppe  Della Torre – Società italiana di storia militare – Aries edizioni Milano 2017

Nella foto di copertina Nixon e Mao Zedong 

Nel testo, i due leader: Richard Nixon e, sotto, Mao Zedong durante la proclamazione della Repubblica popolare cinese

 

2 – continua. ll primo capitolo e’ uscito il 3 novembre. Nel prossimo capitolo, vedremo quali siano le prospettive per il futuro dei rapporti fra le due superpotenze mondiali.

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