Guerre senza fine. Il punto

Sul piano internazionale, nessuno sembra in grado di intervenire. Più probabilmente, nessuno ha voglia di farlo

di Raffaele Crocco

Oggi, dopo quasi 380 giorni di guerra, quale sia la situazione lo racconta il personale degli ospedali Kamal Adwan, al-Awda e indonesiano di Gaza: il cibo sta finendo, mentre l’assedio israeliano di Jabalia, nel nord del territorio, dura ormai da 13 giorni. Contemporaneamente, la protezione civile di Gaza dice di non essere riuscita a recuperare i corpi di decine di persone rimaste sepolte sotto le macerie degli edifici distrutti dal bombardamento israeliano.

E’ la guerra senza fine di Israele, una guerra contro tutti. A Gaza non è finita. L’operazione di pulizia etnica e di eliminazione dei palestinesi continua (è di ieri la rivendicazione dell’uccisione di Yahya Sinwar), così come in Cisgiordania, dove si moltiplicano – nel silenzio quasi generale – le violenze nei confronti degli insediamenti palestinesi. Più a Nord, in Libano, l’esercito israeliano ha lanciato una serie di attacchi verso Nabatieh. E’ stato colpito anche l’edificio del comune. Sono morti il sindaco Ahmed Kahil e almeno altre cinque persone. Non erano di Hezbollah, l’organizzazione politico-militare filo iraniana che Netanyahu vuole estirpare. Erano cittadini libanesi a casa loro. Le forze armate di Tel Aviv dichiarano che, con quell’attacco, hanno distrutto decine di obiettivi di Hezbollah. Il Primo ministro libanese Najib Mikati, invece, ha accusato Israele di aver preso di mira intenzionalmente il palazzo del comune, dove si stava tenendo una riunione. Il sabato precedente, l’esercito israeliano aveva bombardato il mercato di Nabatieh, distruggendolo e provocando almeno 8 feriti.

Netanyahu non si ferma. Lentamente si sta allargando anche sul fronte siriano. L’agenzia Reuters parla di “lavori nella zona demilitarizzata sul Golan”, cioè nell’area che separa lo Stato ebraico dalla Siria.  I genieri avrebbero spostato reticolati, eliminato campi minati, costruito trincee. L’obiettivo sarebbe spingersi ad Est, per cerare una fascia di sicurezza con la frontiera libanese.

La guerra rotola verso il limite del non ritorno, mettendo in pericolo tutto e tutti. L’attacco deliberato alle postazioni dei Caschi Blu dell’Unfil, nel Libano Meridionale, ha messo in allarme le cancellerie internazionali. Per ora, solo vaghe prese di posizione, come il documento che annuncia la “volontà condivisa di esercitare la massima pressione politica e diplomatica su Israele, affinché non si verifichino ulteriori incidenti” firmato dai ministri della Difesa dei 16 Paesi europei che partecipano alla missione. Hanno ribadito la necessità di restare, i 16 ministri, ma Netanyahu in settimana ha detto all’Onu di sgomberare, accusando la missione dei Caschi Blu di favorire le operazioni militari di Hezbollah.

Sul piano internazionale, nessuno sembra in grado di intervenire. Più probabilmente, nessuno ha voglia di farlo. Gli Stati Uniti, i maggiori e più fedeli alleati di Israele, pur imbarazzanti dall’arroganza di Netanyahu, sono paralizzati dalle loro elezioni presidenziali, in programma fra tre settimane. Il resto del Mondo guarda altrove, evidente abituato ormai a trascinare le guerre a tempo indeterminato. La prova arriva dall’Ucraina. I dati sono sempre più spaventosi e li ha resi noti, questa settimana, il Wall Street Journal, riportando fonti di intelligence non divulgate. Ad oggi, circa un milione di ucraini e russi sono stati uccisi o feriti nella guerra. Si tratta, in maggioranza, di soldati di entrambe le parti, seguiti a grande distanza dai civili ucraini. I morti, in questo caso, sarebbero meno di 20mila. Secondo i dati del governo, nella prima metà del 2024 in Ucraina sono morte tre volte più persone rispetto alle nate. Un dissanguamento demografico che ha convinto il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy a non mobilitare gli uomini di età compresa tra 18 e 25 anni. La maggior parte di loro ancora non ha avuto figli.

Una strage che continua. La battaglia non si ferma. In territorio russo, a Kursk, gli ucraini tentano di mantenere il controllo di quanto hanno conquistato da agosto. In Ucraina, l’esercito russo è avanzato nella città di Toretsk, nel Donetsk. Secondo gli osservatori, i russi stanno vogliono approfittare del clima secco, utilizzando attivamente l’artiglieria e i droni per raggiungere i propri obiettivi prima che inizi il gelo.

La guerra appare infinita, ma le cose potrebbero cambiare. Interessanti, in settimana, le parole del ministro degli Esteri finlandese, Elina Valtonen. Ha avvertito del pericolo “reale e crescente della stanchezza dei Paesi occidentali nell’aiutare l’Ucraina”. Parlando al Financial Times, Valtonen, ha spiegato che i Paesi occidentali sperano sempre più “in una qualche forma di risoluzione del conflitto e alcuni funzionari occidentali hanno iniziato a discutere in privato le modalità per raggiungere un cessate il fuoco, nonostante le forze di Putin occupino circa un quinto del territorio ucraino”. D’altro canto, ha aggiunto il ministro, la guerra in Medio Oriente distoglie attenzione e risorse. E soprattutto, sembra non aver limiti. Nel Mar Rosso, lo scontro con gli Houthi nello Yemen, che bloccano il passaggio verso il Canale di Suez, continua. Ieri l’aeronautica Usa ha attaccato depositi di armi Houthi, usando anche i bombardieri Stealth B-2. Un messaggio chiaro, quello lanciato da Washington: se la nostra diplomazia è ferma, le nostre forze armate sono ancora efficienti. E, soprattutto, possono colpire ovunque.

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