Haiti si ribella a povertà e corruzione

La popolazione è allo stremo: le proteste hanno provocato morti e l'interruzione del servizio idrico ed elettrico

Haiti è una polveriera: il malcontento sociale è di nuovo esploso in piazza. Dal 7 febbraio una fiumana di persone occupa le vie della capitale Port-au-Prince.

Il presidente di Haiti, Jovenel Moise, è intervenuto dopo giorni di silenzio dichiarando in un discorso alla televisione pubblica Tnh che non lascerà “il Paese nelle mani di gruppi armati e trafficanti di droga”. Jovenel Moïse ha ribadito quindi che resterà in carica per l’intero mandato ma che chiederà al primo ministro, Jean Henry Céant, di decretare l’emergenza economica nazionale.

Il bilancio delle vittime delle proteste è ad oggi di 7 morti. La piazza richiede le dimissioni del presidente Jovenel Moise, in carica dal febbraio 2017, e accusato di corruzione in particolare in riferimento all’affaire Petrocaribe, un programma energetico sovvenzionato dal Venezuela che avrebbe dovuto portare nel Paese 3,8 miliardi di dollari.

A peggiorare il quadro del presidente è poi emerso il sospetto che un’impresa, da lui stesso precedentemente diretta, abbia ricevuto finanziamenti destinati alla costruzione di un’infrastruttura senza la firma di alcun contratto.

Ma i motivi per protestare sono anche altri e sono da ricercare nella povertà estrema. Dalle ultime elezioni l’inflazione è salita del 15 per cento dalle ultime elezioni. Come rilevato anche nella scheda conflitto dell’Atlante riferita ad Haiti, il Paese è tra i più poveri del mondo. L’agricoltura è a livelli di pura sussistenza, l’industria è limitata. Circa il 50 per cento degli haitiani non ha un lavoro fisso, i due terzi sbarcano il lunario lavorando nei campi.

Gli scontri di piazza hanno provocato l’interruzione in molte abitazioni del servizio idrico ed elettrico e, in molti casi, i rifornimenti di carburante, impedendo così il funzionamento degli impianti per il pompaggio dell’acqua. Non è chiaro quanto seguito abbia ma è stata comunque rilevante il richiamo alla piazza di Moise Jean Charles, leader dell’opposizione, già candidato alle elezioni presidenziali haitiane del 2015 per Platfom Pitit Desalin, un partito politico da lui stesso fondato.

Ma non è certo la prima volta che Haiti è scossa da proteste. Già alla fine di novembre 2018 monitoravamo la situazione. Anche in quei giorni la manifestazioni (che lasciarono sul proprio cammino almeno undici vittime) chiedevano le dimissioni del presidente Moise, mentre nel nel luglio 2018 in molti erano scesi in piazza per protestare contro la decisione di voler ridurre o, comunque tagliare i sussidi sul carburante. E anche questi due casi avevano avuto ulteriori precedenti.

Le reazioni internazionali non sono mancate. Gli Stati Uniti hanno richiamato il personale diplomatico giudicato non essenziale e i loro familiari in missione ad Haiti e hanno invitato gli americani a non recarsi nel Paese. Il Canada, invece, ha chiuso la sua ambasciata a tempo indeterminato.

(di red/Al.Pi)

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