di Andrea Cegna
Città del Messico – La storia di una sola persona tra 117.575 persone può cambiare la Storia di un Paese? 117575 persone sono scomparse, in Messico, secondo le stime ufficiali, alcuni parlano di cifre quattro volte superiori, i governi che si sono succeduti (anche l’attuale) prova a dire cose diverse, abbassare le stime, ma non è facile. Decine di migliaia di persone e famiglie stanno cercando di trovare risposte, lottando contro il silenzio, i muri e il tentativo di impedire che questa storia terrificante lasci il Paese, il Messico che si vanta di essere la sesta meta mondiale per turisti all’anno. Tra loro c’è la famiglia di Antonio González Méndez, una base di appoggio zapatista, ovvero un membro civile dell’organizzazione, scomparsa il “18 gennaio 1999, a Sabanilla, in Chiapas, nell’ambito della politica di controinsurrezione attuata dallo Stato messicano dopo la rivolta dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN)”, come scrive il Centro per i diritti umani Fray Bortolomé de Las Casas sul suo sito web.
Se il Chiapas oggi, secondo l’EZLN, è vicino alla guerra civile, vale la pena ricordare che non è mai stato veramente in pace dal 1 gennaio del 1994. Militarizzazione, paramilitarizzazione, guerra a bassa intensità e poi una somma di pratiche che oggi si mescolano alla criminalità organizzata hanno segnato lo Stato confinante con il Guatemala, come hanno denunciato in più occasioni associazioni, giornalisti e centri per i diritti umani nazionali e internazionali. Per anni la Croce Rossa Internazionale è stata sul campo per la gravità della situazione. È facile trovare storie e denunce sul web, e in tutto lo Stato sono molti i racconti che rimbalzano tra bar, muri, ristoranti e strade.
Il 12 dicembre, domani, la Corte interamericana dei diritti umani (CIDH) esaminerà il caso di González Méndez. Sul sito della Corte si legge: “Si sostiene che questa sparizione non è stata un evento isolato, ma piuttosto si è inserita in un contesto di operazioni condotte da gruppi paramilitari armati operanti in Chiapas dal 1995, che avrebbero operato grazie a un piano statale che cercava di rompere il rapporto di sostegno tra la società civile e l’EZLN. Per tutti questi motivi, la responsabilità dello Stato per la violazione dei diritti all’integrità personale, alle garanzie giudiziarie e alla protezione giudiziaria, nonché degli obblighi di non praticare la sparizione forzata, stabiliti rispettivamente dagli articoli 5, 8 e 25 della Convenzione americana e della Convenzione interamericana sulla sparizione forzata di persone, è indagata nei confronti di Antonio González Méndez”.
Per il Centro per i diritti umani di San Cristóbal “lo Stato messicano è responsabile della sparizione forzata e della mancanza di indagini”. Sono riuscita a parlare con il supervisore del caso che mi dice che nell’ultima udienza, quella del luglio 2023, “lo Stato messicano ha negato la sua responsabilità in queste due circostanze. È importante dire che in quell’udienza la CIDH ha stabilito o sostenuto che lo Stato messicano era responsabile solo per la mancanza di indagini e non per la sparizione forzata”. A far sparire Antonio sarebbe stato il gruppo paramilitare “Sviluppo, Pace e Giustizia”, uno dei gruppi paramilitari che le ricostruzioni storico-politico-giornalistiche considerano formati, armati e mossi dallo Stato messicano con l’obiettivo di porre fine alla lotta dei popoli chiapanesi per la loro autonomia.
Se il 12 dicembre la Corte Interamericana per i diritti umani discuterà la responsabilità del Messico nel caso, è solo grazie alla compagna di Antonio González Méndez, Zonia, che ha parlato di sparizione fin dal primo giorno. Le figlie di Zonia e Antonio, di fronte al silenzio dello Stato messicano e alla reticenza degli organismi nazionali, hanno deciso di portare la denuncia agli organismi internazionali e hanno trovato nella Frayba i loro compagni di viaggio. La denuncia è stata portata prima alla Commissione interamericana per i diritti umani e poi alla Corte interamericana.
A quasi 26 anni dalla scomparsa di Antonio, si apre un varco nella storia delle sparizioni forzate in Messico. Non è un caso unico o particolare, ma è un caso, secondo Frayba, rappresentativo delle azioni dello Stato in Chiapas contro l’EZLN e i popoli in resistenza. Sarà la prima sentenza della Corte interamericana dei diritti umani inquadrata nel contesto della contro-insurrezione e dei crimini contro l’umanità. Il 12 dicembre, concludono dal centro dei diritti umani“ci sarà un’udienza pubblica in cui la Corte interamericana leggerà la sentenza. In sostanza, deciderà se lo Stato messicano è responsabile a livello internazionale per la sparizione forzata e per la mancanza di indagini sulla sparizione”.
Sono il coraggio e la perseveranza delle famiglie a rompere il muro del silenzio. Le Madri Cercatrici, le famiglie dei 43 di Ayotzinapa, Zonia e la sua famiglia stanno riscrivendo la storia del Messico, assieme alle narrazioni coraggiose di giornalisti come Federico Mastrogiovanni, Oswaldo Zavala, Marcela Turati, Luis Hernandez Navarro o John Gibler. Così, il 12 dicembre in Messico potrebbe passare alla storia non solo come il giorno della Madonna di Guadalupe, ma anche come il giorno in cui qualcosa può cambiare in materia di diritti umani.
In copertina: manifestazione a Città del Messico (licenza Shuttelstock)