I diamanti insanguinati dei mafiosi

di Andrea Tomasi

Ricordate Leonardo DiCaprio nel film «Blood Diamonds» (Usa 2006), sul traffico di pietre preziose tra Sierra Leone e Liberia? Parlava di come pietre, sporcate dal sangue di guerre interne, venivano pulite trasportandole da un Paese canaglia ad un Paese accettato dalla comunità internazionale. Ora aggiungete la violenza di quel film, quasi un documentario, a quella di Cosa Nostra. Se non fosse la realtà, potrebbe sembrare una nuova pellicola di Martin Scorsese, di cui DiCaprio è ormai l’attore icona. Ma realtà è. I diamanti macchiati di sangue continuano ad essere trasportati dal Terzo al Primo mondo, anche con la complicità della mafia italiana. A raccontarlo è un’inchiesta condotta dal centro di giornalismo d’inchiesta Irpi (Investigative Reporting Project Italy) e riportata dal Fatto Quotidiano nell’aprile dello scorso anno in un articolo fiormato da Giulio Rubino e Cecilia Anesi in colaborazione con Khadija Sharife.
C’è una lunga «tradizione» italo africana in materia di riciclaggio di denaro sporco, macchiato dal sangue e dai traffici della malavita italiana, sangue prodotto anche dalle guerre alimentate nel Continente Nero.«Ad aprire le porte dell’Africa – scrivono Amesi e Rubino – ci pensò Vito Roberto Palazzolo, il più abile banchiere che Cosa Nostra abbia mai avuto. Entrato in Sudafrica da latitante nel 1986, costruisce un vero proprio impero, tra miniere di diamanti in Angola, laboratori di taglio dei preziosi in Namibia e affari miliardari che assicura a governi africani corrotti, imprenditoria internazionale e, ovviamente, alla mafia. Ma oggi che Palazzolo è incarcerato al 41bis dopo essere stato scovato in Thailandia nel 2012, Cosa Nostra ha dovuto cercare nuovi canali per investire nel continente nero». È un flusso inarrestabile di cui tutti (o quasi) sanno ma di cui, vista la ricchezza e visto l’indotto che produce a beneficio di venditori ed acquirenti upper class, nessuno parla.
Le pietre preziose possono servire al riciclaggio dei denari ottenuti illegalmente. Quando hai a disposizione milioni di euro – entrati in cassa in modo illegale – l’acquisto di diamanti funziona come una lavanderia. Salvatore Ferrante, cittadino sudafricano di seconda generazione, viene indicato come «l’uomo in doppiopetto» del cugino Antonio Messicati Vitale», boss di Cosa Nostra. Chi è Messicati Vitale? «Condannato per mafia nel 2000 – si legge – , sconta la pena, torna sul trono, scappa a Bali, rientra in Italia scortato dai carabinieri, rimane a piede libero un anno e viene fermato definitivamente a ottobre 2014 mentre, con una maschera in silicone, si preparava ad un ritorno in Africa». E Ferrante? «La famiglia Ferrante in Sudafrica ci è arrivata alla fine degli anni ‘50, quando Salvatore Ferrante senior, padre del nostro trader di diamanti e fratello della nonna di Messicati Vitale, lascia la terra natia per finire a lavorare nelle miniere d’oro di Springs, nel Gauteng orientale, non lontano da Johannesburg».
Nel 2010 i riflettori dei carabinieri di Palermo vengono puntati sulla sua famiglia. «Gli inquirenti scoprono il sito web dell’azienda diamantifera dei Ferrante. Ed ecco la sorpresa: tra i documenti caricati del sito spunta il volto del capomafia di Villabate. Immortalato tra i partner della “Zimbabwe Diamond Opportunity”». L’altro protagonista del «film» è Louis Petrus Liebenberg . È «un grosso dealer del settore, originario di Port Nolloth, una cittadina di mare a pochi chilometri dall’Orange River che segna il confine con la Namibia, dove si estraggono dal fondale marino i migliori diamanti al mondo. È qui che Liebenberg era riuscito ad ottenere la ‘Concession 10‘, dove “sul fondo ci sono almeno due milioni di carati di diamanti della massima qualità gemmologica. L’Orange River ha trasportato le pietre per 240 chilometri fino al mare, lavandone ogni impurità».
Nel 2008 Liebenberg è in fase di divorzio ed incontra Pina Ferrante, la figlia maggiore di Salvatore senior. Lo convince ad usare lei e la sua famiglia come prestanome per tutti i suoi beni. I Ferrante colonizzano: comprano diamanti da più Paesi possibili.In Repubblica Democratica del Congo Liebenberg già commerciava con esponenti governativi trattando i diamanti del Kasai Occidentale e Orientale. Poi c’è l’Angola. «Ma il paese dove i Ferrante hanno fatto davvero fortuna è lo Zimbabwe. Anche qui Liebenberg ha amicizie altolocate, come il prefetto delle miniere di Marange che garantirà i permessi per dar vita alla “Zimbabwe Diamond Opportunity”».
I diamanti della “Zimbabwe Diamond Opportunity” vengono dai depositi di Marange. Nel 2008 il presidente Mugabe e il suo partito Zanu danno vita all’operazione «Hakudzokwi» («Senza ritorno»): centinaia di militari entrano nel territorio e massacrano migliaia di civili. Vengono uccise intere famiglie, donne, bambini. L’operazione dura meno di una settimana. Via tutti i civili. E così i diamanti dei campi di Marange sono considerati «blood diamonds» e interdetti dal commercio internazionale dal Kimberly Process. «Quale occasione migliore per un compratore come Antonino Messicati Vitale? Marange è perfetta per riempire il baule del boss di Villabate» raccontano Rubino e Anesi.
Lavaggio e guadagno assicurati: il prezzo delle pietre di Marange può variare da 70 dollari a carato a 450. Si tratta di una transazione da capogiro: una cifra fra i 70 e i 450 milioni di dollari in contanti. «Sembra impossibile, ma ci assicurano che non sarebbe la prima volta che accade in Zimbabwe. La stessa fonte parlamentare ci spiega che “gli intermediari arrivano in aereo, comprano, e volano via senza controlli. L’esercito c’è dentro fino al collo”. Dove siano ora le pietre del baule è difficile immaginarlo, ma le possiamo immaginare nella cassaforte di qualche fiduciaria ai Caraibi o al dito di qualche ricca signora europea, che inconsapevole sfoggia una gemma pura solo in superficie: dietro c’è il denaro di Cosa Nostra e il sangue dei civili trucidati a Marange.».
Liebenberg ha fatto sapete che sicuramente i Ferrante si sono riforniti a Marange almeno per tutto il 2011. I suoi rapporti con la famiglia italiana si sono interrotti nel 2012, con sequestro giudiziario della Concessione 10 a causa di un incidente mortale nel cantiere. Liebenberg dovrà fare i conti anche con un’infamante accusa di stupro da parte di Pina. Ma questa è un’altra storia. Il punto è che «Cosa Nostra, oggi sotto la sapiente guida di Matteo Messina Denaro, ha saputo mimetizzarsi nel capitalismo internazionale – scrivono Rubino e Anesi – senza perdere le radici culturali e criminali che la rendono indistruttibile. I suoi soldi sono liquidi, presenti, esentasse e sempre disponibili. In un flusso sempre crescente penetrano rapidi i circuiti legali anche grazie a una vasta area grigia che presta i suoi servigi alla Mafia Spa».

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/17/diamanti-sangue-per-nostra-i-soldi-mafia-nelle-miniere-dellafrica/1596487/

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