di Raffaele Crocco
C’è da riflettere, non c’è dubbio. Vista così, per come è stata presentata, la nuova Commissione dell’Unione Europea, guidata ancora una volta da Ursula von der Leyen, è un cocktail bizzarro e pericoloso. Sono 14 Commissari di cinque differenti raggruppamenti politici. Questo può andare bene, amplifica rappresentanza e idee, ma il segno forte che contraddistingue il nuovo governo d’Europa, il vero collante, sembra essere altro: sarà un governo di falchi. Saranno falchi finanziari e falchi in politica estera. L’Europa si riarma e lo fa scegliendo un governo adatto all’esigenza. L’Unione si militarizza e lo fa nel solco ufficiale della necessità – pensa la beffa – di diventare moderna e di trovare un nuovo collante alla propria esistenza.
Presentando la sua squadra, von der Leyen ha detto che «l’intero collegio sarà impegnato sulla competitività, la decarbonizzazione e la digitalizzazione». Dicendo così, ha indicato la volontà di seguire «le raccomandazioni del rapporto Draghi» per un’Europa «più fluida, più interconnessa, più coordinata» nelle sue «diverse politiche». Ma, come abbiamo già scritto, le indicazioni di Mario Draghi non sono solo il tentativo di salvare l’Unione Europea da una possibile dissoluzione e frammentazione. Hanno implicazioni ben più importanti a livello internazionale. Vanno nella direzione della globalizzazione sempre più probabile dello scontro planetario per il governo di risorse, rotte ed economie. Portano l’Unione nel cuore della battaglia fra “filoamericani” e “antagonisti”. Per capirlo, dobbiamo tornare al 4 settembre di quest’anno, quando la presidente della Commissione Europea ha incontrato Mario Draghi. Cosa ha detto l’ex banchiere alla von der Leyen? E cosa ha ripetuto in questi giorni, al netto delle considerazioni anche condivisibili sulla transazione ecologica, sulla parità di genere e su temi sociali?
Sostanzialmente, lo ricordiamo, Draghi ha messo nero su bianco l’idea che il rilancio dell’Unione possa nascere da un consolidamento dell’apparato produttivo, piegandolo alle esigenze militari. Due le strade da seguire. La prima è che l’industria militare dell’Unione deve avere immediatamente acceso ai finanziamenti europei e alla possibilità di fondersi, cioè creare grandi concentrazioni, a prescindere delle attuali norme comunitarie, per restare sul mercato internazionale. La seconda, sempre per Draghi, è creare una “Autorità per l’industria della difesa”, che centralizzi gli appalti per i Paesi europei e coordini gli approvvigionamenti. Se realizzate, queste scelte porteranno a conseguenze precise. Di fatto, creeranno le condizioni per un riarmo europeo veloce, in grado per altro di mantenere consenso popolare con una sorta di interventismo statale, in grado di garantire posti di lavoro e di compensare le perdite inevitabili che ci saranno nello stato sociale. Una specie di “keynesismo militare” già sperimentato nel tempo.
Ora, al di là delle intenzioni di intervento su temi importanti come la transizione ecologica, la concorrenza, il riassetto istituzionale, la scelta dei Commissari conferma che l’Unione Europea vuole militarizzarsi. Sembra aver abbandonato la strada della cooperazione internazionale e della diplomazia per risolvere i problemi, schiacciandosi in modo acritico sulle politiche di “maschio e virile confronto militare” scelte dalla Nato. Ha, poi, messo un nemico preciso nel mirino, la Russia e uno più che potenziale all’orizzonte, la Cina. La scelta della estone Kaja Kallas, come nuova rappresentante della politica estera continentale, è un segno inequivocabile della direzione presa. Kallas è nemica giurata della Russia e di Putin. E’ favorevole ad inasprire le sanzioni contro il Cremlino e fautrice di un ampio riarmo dei paesi Europei proprio in chiave antirussa.
Non dimentichiamo poi, un altro passaggio fondamentale. In maggio di quest’anno, poche settimane prima del voto europeo di giugno, il Parlamento dell’Europa varò un piano di riordino della mobilità continentale studiato per consentire il rapido spostamento di truppe verso Est. Insomma, è quella della von der Leyen sempre più un’Europa in armi. Sorprende che gli stati dell’Unione non capiscano che questa scelta fa dell’Unione Europea una roccaforte chiusa in se stessa, raccolta e compresa nella convinzione di essere “unica portatrice di valori umanitari e democratici nel Mondo”. La realtà è che il Vecchio Continente rischia di trovarsi sempre più isolato e sempre più solo, destinato ad affogare nella propria arroganza.
In copertina: Von der Leyen e Draghi (licenza Shuttelstock)