I dati sono aggiornati alla fine di ottobre, quindi sufficientemente utili per avere un’idea di quello che accade. Le fonti sono varie: ong, testate internazionali, agenzie umanitarie e, soprattutto, i ministeri della Salute dei territori occupati. Fatte queste premesse, riassumere in dati quanto sta accadendo nel Vicino Oriente, è un passaggio utile per capire i contorni del massacro. L’attivismo militare di Israele ha ormai un duplice dichiarato obiettivo, dicono gli osservatori internazionali: eliminare ovunque si trovino i palestinesi – tutti, non solo i militanti di Hamas – e creare quella “Grande Israele” di origine biblica – non storica – che è nella mente di molti protagonisti del governo Netanyahu.
Il risultato è agghiacciante. Vediamolo: a Gaza, alla fine di ottobre erano state uccise circa 42.600 persone, tra cui circa 16.765 bambini. I feriti erano oltre 99.795. A tutto questo vanno aggiunti circa 10mila esseri umani dispersi. Di loro non ci sono notizie. Nello stesso periodo, i dati del Ministero della Salute palestinese nella Cisgiordania denunciava almeno 759 persone uccise, tra cui almeno 165 bambini. I feriti sarebbero 6.250. A questi morti vanno aggiunti, ovviamente, quelli israeliani, legati all’attacco del 7 ottobre 2023, firmato da Hamas. Le autorità israeliane hanno rivisto al ribasso il bilancio delle vittime degli attacchi del 7 ottobre, da 1.405 a 1.139. Spaventoso il numero di feriti: almeno 8.730
Naturalmente, lo vediamo quotidianamente dalle immagini che arrivano sui nostri media, la distruzione di edifici e strutture è stata devastante. In poche parole: Gaza non esiste più o quasi. Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, dell’Organizzazione mondiale della sanità e del governo palestinese aggiornati al 20 ottobre, gli attacchi israeliani hanno abbattuto più della metà delle case di Gaza. In particolare, sono stati distrutti l’80% delle strutture commerciali e l’87% degli edifici scolastici. Per le strutture sanitarie, solo 17 dei 36 ospedali esistenti sono ancora funzionanti. Infine, sono inservibili il 70% della rete stradale e il 68% dei terreni agricoli.
Come è stato possibile tutto questo? La possibilità è stata data dal fatto che la Striscia di Gaza, territorio principale dello scontro, è una piccola fetta di terreno, densamente popolata. Sono 365 chilometri quadrati, fitti di persone e strutture. E’ interessante vederne la composizione. E’ divisa in cinque governatorati: Gaza Nord, Gaza City, Deir el-Balah, Khan Younis e Rafah.
La striscia di Gaza settentrionale si estende per 10 chilometri. Ha un valico verso Israele attraverso Beit Hanoon. E’ conosciuto come valico di Erez. Qui, a Nord, si trova il campo profughi di Jabalia, il più grande della Striscia di Gaza.
Gaza City è invece la città più grande e popolosa, con oltre 750.000 abitanti. Remal, Shujayea e Tal al-Hawa sono tra i suoi quartieri più noti. A Remal c’era la più grande e importante struttura ospedaliera del territorio, l’ospedale al-Shifa.
Altra zona è Deir el-Balah , il maggiore produttore agricolo di Gaza. Ospita anche quattro campi profughi: Nuseirat, Bureij, Maghazi e Deir el-Balah. L’unica centrale elettrica di Gaza è lungo il confine del distretto con la città di Gaza.
Un altro distretto, Khan Younis, ospita circa 430.000 persone. Al centro si trova il campo profughi di Khan Younis. Qui vivono 90.000 persone.
Infine, c’è Rafah, il distretto più a sud di Gaza. Gli abitanti sono 275.000 e qui si trova il valico con l’Egitto.
Questi sono la situazione sul terreno e l’elenco dei morti, sufficientemente aggiornati. Leggendo i dati, si percepisce con chiarezza in quale trappola siano costretti i palestinesi. Fuggire è impossibile. Sia Israele, sia l’Egitto hanno mantenuto i loro confini in gran parte chiusi e questo ha impedito agli aiuti umanitari di entrare e ai palestinesi di uscire, di mettersi al sicuro. Per sopravvivere, possono solo andare da una parte all’altra della Striscia, per sfuggire ai bombardamenti o all’avanzate dell’esercito israeliano. Una corsa che dura da più di un anno e che pare non possa avere fine.
(Red/Est/R.C.)
In copertina foto di Fabio Bucciarelli