Il Cile nella morsa della pandemia

Il Coronavirus ha reso ancora più evidenti le disuguaglianze e le tensioni sociali al centro delle  proteste in corso già da mesi

di Roberta Ylenia Tartaglia (Ex Casco Bianco APGXXIII in Cile)*

Il 10 giugno il Cile si è svegliato con 142.759 casi di contagio e 2.283 decessi e recentemente il Ministro della sanità Jaime Mañalich ha candidamente ammesso che tutte le previsioni che erano state fatte nei mesi precedenti si sono rivelate totalmente inesatte. Alle sue dichiarazioni sono seguite quelle del Presidente Piñera, che ha ammesso gli errori del suo Governo nella strategia per affrontare il coronavirus. Intanto, il sistema sanitario nazionale è al collasso: l’86% dei posti letto a livello nazionale sono attualmente occupati, mentre nella Regione Metropolitana, che include Santiago e dove si registrano quasi l’80% dei casi totali di COVID-19, i posti occupati sono addirittura il 93%, secondo gli ultimi dati diffusi.

La rabbia è tanta, soprattutto tra i sindaci delle singole comunas di Santiago del Cile, i municipi in cui è divisa la città. Come emerge da diverse inchieste, infatti, i dati raccolti a livello locale dai singoli consultori comunali nei mesi scorsi erano di gran lunga più attendibili rispetto a quelli diffusi dal Ministero, che al 31 marzo dichiarava appena 2.744 casi di COVID-19, a fronte dei 31.638 pazienti con sintomi respiratori simili a quelli del coronavirus segnalati dalle comunas. I primi provvedimenti da parte del Governo, molto superficiali, sono stati presi con il chiaro obiettivo di non arrecare danni all’economia, a costo di pagare in vite umane. Per almeno un mese, il mantra ripetuto dal Primo Ministro e dal Ministro della salute è stato quello di salvaguardare a tutti costi le grandi attività commerciali, e la gestione dell’emergenza è andata avanti a suon di “il virus potrebbe diventare una brava persona” e “tra i guariti è il caso di conteggiare anche i morti, visto che non hanno più la possibilità di contagiare nessuno”, affermazioni del Ministro Mañalich che hanno provocato grandissima indignazione.

La situazione è apparsa fuori controllo fin dal principio, quando i sindaci di Santiago facevano fronte comune e imponevano la quarantena nel loro territorio col fine di limitare i contagi, mentre il Governo imponeva il coprifuoco e dispiegava un grande numero di forze dell’ordine e militari per le strade, affinché le manifestazioni popolari per la Nuova Costituzione , – che dallo scorso Ottobre sono arrivate a coinvolgere milioni di persone -, non potessero ricominciare. La richiesta di una nuova Costituzione arriva da più fronti per sostituire quella attuale, figlia della dittatura di Pinochet, che ha facilitato per anni un inesorabile processo di privatizzazione di ogni bene e risorsa, a partire dall’acqua e dalle risorse minerarie e forestali, fino alla sanità, trasformando radicalmente il Cile e di fatto limitando fortemente l’accesso ai diritti fondamentali da parte delle classi popolari e della classe media.

Il coronavirus ha reso ancora più evidenti le disuguaglianze denunciate dai milioni di manifestanti già da mesi, e la sanità privata non è il solo punto critico. La quarantena, ufficializzata in tutta la Regione Metropolitana solo pochi giorni fa, sta risultando una misura completamente insostenibile per la maggior parte delle famiglie cilene. Sono emblematici gli avvenimenti del 18 Maggio scorso nel municipio di El Bosque, che rientra tra le comunas più povere della metropoli, dove centinaia di persone sono scese in strada per urlare la mancanza di viveri e di beni primari a causa dei licenziamenti e delle limitazioni dovute al coronavirus, alle quali non sono seguite misure per fare fronte alle conseguenze.

Alla gente manca il cibo: può solo scegliere se morire di COVID-19, o di fame. Queste affermazioni forti giungono da più voci, e racchiudono perfettamente ciò che sta succedendo in Cile in questo momento. Non solo in municipi periferici come El Bosque, anche nei settori popolari del municipio di Peñalólen, una comuna ai piedi delle Ande, la gente riesce ad alimentarsi giornalmente soltanto grazie a donazioni e ollas comunes, letteralmente “pentole comuni”, il cibo preparato in grandi quantità da più famiglie del settore e poi distribuito in tutto il quartiere.

Il meccanismo della solidarietà è l’unico che non sembra essersi inceppato in questo periodo, in cui le disuguaglianze – tra lavoratori e lavoratrici e imprenditori, tra municipi ricchi e municipi poveri, tra sanità pubblica e privata, si sono non soltanto inasprite, ma stanno facendo la differenza tra la vita e la morte.

*Questo articolo è parte di una collaborazione didattico-giornalistica tra Atlante delle Guerre e dei Conflitti del Mondo e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Gli autori sono giovani tra i 18 e i 28 anni che hanno svolto servizio civile all’estero come Caschi Bianchi nei progetti promossi dall’Ufficio Obiezione di Coscienza e Pace di APGXXIII. (Più info nei link evidenziati)

In copertina. Santiago, Cile foto @persnicketyprints

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