Il confine della rabbia: Irlanda del Nord in fiamme

Sui disordini interviene anche Washington. Fra Brexit e cronaca, i lealisti si sentono traditi da Londra

di Lucia Frigo

Da oltre una settimana disordini, proteste e violenze scuotono l’Irlanda del Nord, la provincia più lontana del Regno Unito di sua Maestà. I manifestanti sfogano la propria rabbia contro la polizia, che rappresenta il governo che li ha traditi approvando, nel trattato che segna il compimento della Brexit e in vigore da inizio 2021, il “Protocollo sull’Irlanda del Nord”.  

Le scene di violenza nella città di Belfast, ma anche a Derry, Newtownabbey, e nei sobborghi ricordano quelle di tanti anni fa: bombe incendiarie contro le auto della polizia, lacio di sassi e di molotov contro autobus e vetrine, nottate illuminate dal fuoco e dalle sirene della polizia. 

Non sono i troubles degli anni Novanta, ma sono una serie di disordini nuova, figlia di quel conflitto civile mai rimarginato e della nuova “bomba” che è stata sganciata sull’Irlanda del Nord: la Brexit.

Perchè gli scontri

Con il termine del periodo di transizione, l’uscita del Regno Unito dall’UE mostra ora tutti i suoi effetti  – anche quelli che noi dell’Atlante avevamo più volte segnalato come problematici

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A portare nelle strade giovani e meno giovani, mascherati e incappucciati, è infatti il Protocollo con il quale Unione Europea e Regno Unito stabiliscono che, per salvaguardare l’economia della regione (Dipendente per oltre il 70% dagli scambi con la Repubblica d’Irlanda), il confine commerciale tra Unione Europea e Regno Unito si piazzi nel mar d’Irlanda – includendo quindi Belfast e dintorni nel mercato comune e imponendo controlli di frontiera solo ai beni che passano il mare per entrare in Inghilterra, Scozia o Galles. Insomma, la miccia economica di un problema che economico non è, bensì identitario, politico e sociale. 

Se le molotov, gli attentati in strada e le risse con la polizia erano strategie tipicamente impiegate dai repubblicani durante i troubles, i lealisti hanno preso nota e ne stanno facendo – nottata dopo nottata – largo uso, causando il ferimento di oltre 18 poliziotti e la devastazione di ampie aree della città di Belfast. 

Moment Belfast rioters hijack and firebomb bus to turn it into terrifying weapon in Northern Ireland

A manifestare sono, principalmente, i lealisti: la fazione leale alla Regina, che ha combattuto (nei troubles, anche in formazioni paramilitari a fianco dell’esercito inglese) perchè su quel francobollo di terra nell’isola d’Irlanda continuasse a sventolare l’union jack, la bandiera britannnica. Il Protocollo sull’Irlanda del Nord è visto dai lealisti come “un tradimento”: la decisione di Londra di imporre un confine – giacchè puramente commerciale – tra Irlanda del Nord e resto del Regno Unito pare considerarla “meno britannica”, esprimere un disinteresse nella regione che in molti hanno lamentato durante tutti i negoziati della Brexit. Come se l’Irlanda del Nord fosse stata un impaccio, e non un territorio la cui pace è arrivata a caro prezzo e non ha ancora avuto occasione di mettere radici profonde. 

In segno di disaccordo con il protocollo, i gruppi paramilitari lealisti avevano, a Marzo, ritirato il proprio sostegno all’accordo di Pace del 1998, che proprio oggi compie 23 anni. 

A questo si aggiungono poi i fatti di cronaca: i leader del partito opposto Sinn Fèin, repubblicano e dunque portavoce del sogno di un’Irlanda Unita, avrebbero partecipato ai funerali di Bobby Storey, preminente repubblicano ed ex membro di spicco dell’IRA. Non solo un segno di allineamento con un gruppo responsabile di terribili attacchi terroristici, ma anche una violazione delle norme Anti-Covid sulla quale però il procuratore di Belfast ha deciso di non proseguire. Altro elemento che, in mano ai lealisti, diventa simbolo di un sistema che avrebbe “due pesi e due misure”. 

Risposte da lontano 

Il premier britannico Boris Johnson ha rotto il silenzio sulla questione troppo tardi e troppo poco incisivamente: la sua denuncia delle violenze e la richiesta di cessare le ostilità arriva, come sempre, come una voce fioca da Londra. Commentatori e politici locali ne hanno chiesto la presenza a Belfast, indicando come un concreto segnale di vicinanza potrebbe forse calmare gli animi lealisti, ma Downing Street sembra ancora una volta spaventata da quella regione che non ha mai saputo capire e farsi amica. Il partito di Johnson ha fatto del trattato sulla Brexit un vanto, senza mai assumersi la responsabilità di quel nuovo confine che ha scatenato l’ira dei lealisti per mantenere sotto controllo quella dei filo-repubblicani. 

Non si pronuncia l’Unione Europea, che in sede di negoziato della Brexit ha sempre ammonito Londra sui rischi di togliere all’Accordo di Pace di Belfast quella base costituita dall’essere, Irlanda e Regno Unito, parte di un’Unione capace di allentare i confini. Il messaggio sembra essere chiaro: Londra ha voluto la Brexit ad ogni costo, conscia delle tensioni che sarebbero ritornate in Nord Irlanda; Londra le gestisca, ora, dopo aver ostacolato all’UE ogni possibile contatto con il territorio per attutire l’impatto della Brexit. 

architectural photography of white house

Ad intervenire invece, dopo sette notti di conflitto, è la Casa Bianca: da oltreoceano giunge il messaggio di Joe Biden, che invita alla cessazione delle violenze e chiede ai cittadini nordirlandesi di non rinunciare alla pace così duramente guadagnatasi. Gli Stati Uniti furono infatti una parte cruciale per il raggiungimento dell’Accordo di Pace, firmato sotto gli occhi di Bill Clinton. La vicinanza del 47° Preidente americano, inoltre, fa molto di più: mette i disordini di Belfast sotto gli occhi del mondo. 

Giovani, povertà, e un ciclo che fatica a spezzarsi

A colpire, guardando filmati della protesta come questo, condivisi sui social, è la composizione dei gruppi di manifestanti violenti: costituiti in larghissima parte di giovani, se non adolescenti, incitati da adulti e genitori ai lati della strada. Come commentato da politologi e storici, se fino a qualche anno fa la preoccupazione maggiore dei genitori era quella di risparmiare ai propri figli le atrocità dei troubles, in poco tempo gli adulti, disillusi e “traditi”, ma anche polarizzati perchè mai veramente partecipi del processo di pace, incitano i propri figli a farsi artefici dello stesso tipo di violenze. 

Sui social, che hanno fomentato la polarizzazione delle fazioni e – in alcuni ambienti – incitato le rivolte, appaiono inviti nei confronti dei giovani a “non essere la generazione che delude l’Ulster” bensì ad “alzarsi in piedi e farsi sentire”. Un messaggio recepito abbondantemente tra teenager e ventenni: cresciuti in comunità settarie, a Belfast ancora fisicamente divise da un muro, ed educati in scuole altrettanto settarie, cattoliche o protestanti secondo la scelta dei genitori che così portano avanti una infinita divisione delle comunità. 

A questo si aggiunge il dato, allarmante, secondo cui sono 120 mila i giovani che in Irlanda del Nord vivono sotto la soglia di povertà – quasi tutti a Belfast e sobborghi. Un terzo della gioventù del paese, che raccoglie l’eredità pesante del secolo scorso e che spesso ricorre alla violenza in modo sistematico, per necessità o perchè coinvolta in giri di criminalità organizzata. Di fronte all’ulteriore crisi economica annunciata a causa della Brexit, l’esasperazione di una generazione che si sente “già bruciata” si trasforma in rivolta quasi per abitudine.

La Brexit ha portato alla superficie i malumori di tutti, ma il velocissimo riproporsi delle violenze (in crescita negli ultimi anni, come vi abbiamo raccontato nel 2018 e 2019) dimostra che è mancata l’integrazione, la capacità di organizzare punti di incontro e valori comuni.
L’Irlanda del Nord continua a combattere – chi combatte la polizia, chi per sentirsi rappresentato, chi perché ha imparato così dalla storia dei propri padri – e a spaccarsi tra le sue due anime scontente. 

 

Foto Casa Bianca: Unsplash, René DeAnda
Foto disordini di Belfast: Twitter, autori vari

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