di Emanuele Giordana
Il 28 maggio scorso, al confine tra la provincia tailandese di Ubon Ratchathani e quella cambogiana di Preah Vihear, si è verificato l’ennesimo incidente di frontiera in un territorio conteso dai due regni asiatici: apparentemente risoltosi in uno scontro a fuoco durato pochi minuti anche se ha provocato la morte di un soldato cambogiano. Nonostante le accuse reciproche su chi avesse cominciato, l’episodio sembrava infatti destinato a non avere un seguito particolare. Ma non è stato così. Il lancio di un sasso si è trasformato in un mese in una valanga che ha travolto i rapporti tra i due Paesi e prodotto una serie di azioni di ripicca dalle due parti culminate nella chiusura delle frontiere. Non solo.
Una ventata di nazionalismo che non si vedeva da tempo si è rapidamente impadronita di parlamentari e mezzi di comunicazione scatenando una guerra delle parole tra i due Paesi, culminata in una telefonata tra la premier thai Paetongtarn Shinawatra e l’ex premier cambogiano e presidente del Parlamento Hun Sen, che ha messo in crisi il fragile governo dell’ultima pupilla di una potente dinastia politica che il 1° luglio è stata sospesa dal suo incarico (per 15 giorni) dalla Corte costituzionale e il 3 luglio dovrà affrontare anche una mozione di sfiducia da parte del partito Bhumjaithai, che dopo quella telefonata ha lasciato la coalizione governativa. Mozione alla Camera che è accompagnata da petizioni alla Commissione Nazionale Anticorruzione e alla Corte Costituzionale che mettono quella telefonata al centro di un comportamento che chi è a capo di un esecutivo non dovrebbe avere…. (continua. Leggi tutto su Ispionline)
In copertina, una veduta di Bangkok dove sabato hanno sfilato in decine di migliaia chiedendo la testa della premier
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